Il 29 novembre 2023 Mario Draghi è apparso – questa è l’espressione utilizzata da Alessandro De Angelis (1) dell’Huffington Post in un articolo da cui traspare una sottile vena ironica – a Roma presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, alla presentazione del recente libro di Aldo Cazzullo sull’impero romano. D’altronde, come ha enfaticamente affermato in quella occasione Ferdinando Mach di Palmstein, noto finanziere socialista, il toccante e raro evento «non poteva che accadere in chiesa, un miracolo come quello che ha portato in paradiso donne e uomini presenti. Nel tempio dedicato al fondatore dei Gesuiti, Mario Draghi ha condotto tutte e tutti nel paradiso della speranza concreta: si farà lo Stato Europeo» (2).
E questa prospettiva, tanto allarmante quanto probabile, è realistica per tre motivi.
Primo, nel corso della discussione del libro Mario Draghi, dopo aver espresso la sua preoccupazione per la situazione critica che l’Europa sta attraversando, ha effettivamente affermato con la consueta chiarezza, merito che non gli si può negare, che oggi «il modello di crescita si è dissolto e bisogna reinventarsi un modo di crescere ma per fare questo occorre diventare Stato» (3). L’obiettivo di Draghi è chiaro: costituire in tempi relativamente rapidi gli Stati Uniti d’Europa. Ed è quindi chiaro anche quale deve essere l’obiettivo delle forze sovraniste, siano esse di destra o di sinistra, cioè impedire la realizzazione di questo processo.
Secondo punto, Mario Draghi avrà la possibilità di imprimere una spinta propulsiva in questa direzione se, come alcuni prevedono, sarà il prossimo Presidente della Commissione europea o del Consiglio europeo (4).
Terzo punto, il più importante, il Parlamento europeo il 22 novembre 2023 ha approvato a maggioranza risicata, e non ampia come trionfalmente affermato dal comunicato stampa, una risoluzione contenente delle proposte di riforma dei Trattati europei che si muovono esattamente in tal senso. Cioè, verso il rafforzamento dei vertici apicali dell’Unione europea a scapito degli Stati nazionali e della loro sovranità.
In quanto segue, prima, verranno sinteticamente illustrate queste proposte in quanto delineano il profilo istituzionale che, secondo le élite europee, l’Unione europea dovrebbe assumere in tempi relativamente rapidi e, successivamente, ne verrà illustrato il significato politico.
I pilastri della riforma
Per comprendere il significato delle proposte approvate dal Parlamento europeo è opportuno partire da tre espressioni linguistiche che, apparentemente poco rilevanti, hanno invece importanti implicazioni politiche.
La prima si evidenzia quando il testo della risoluzione del Parlamento europeo “pone l’accento sull’importanza di riformare il processo decisionale dell’Unione in modo da rispecchiare con maggior fedeltà un sistema bicamerale, conferendo ulteriori poteri al Parlamento europeo” (5). Peccato che ad oggi, l’Unione europea abbia una sola Camera, cioè il Parlamento europeo. A cosa si allude quando si parla di accentuare il bicameralismo? Qual è la seconda Camera? E, soprattutto, accentuare i poteri del Parlamento europeo rispetto a chi? Lo vedremo tra poco.
La seconda innovazione linguistica si ha quando il Parlamento “chiede che la Commissione europea sia rinominata Esecutivo europeo (e) propone di fissare le dimensioni dell’esecutivo a non più di 15 membri, scelti tra i cittadini degli Stati membri sulla base di un sistema di rotazione rigorosamente paritaria”. Si noti, 15 persone che costituiscono l’esecutivo dell’Unione europea, dovrebbero governare, dopo l’allargamento, circa 400 milioni di individui che vivono in Stati con lingue, religioni, tradizioni storiche e culturali, modelli economici, valute (non tutti gli Stati membri rientrano necessariamente nell’Eurozona), sistemi sociali, interessi e valori profondamente differenti e, talvolta, divergenti e contrastanti.
La terza innovazione è consequenziale alla seconda: il Presidente della Commissione, ovvero dell’Esecutivo, verrebbe ridenominato Presidente dell’Unione europea.
Ma procediamo con ordine e vediamo i punti essenziali della proposta di riforma, considerando separatamente: a) i cambiamenti nelle competenze dell’Unione europea rispetto agli Stati membri e b) i mutamenti nei rapporti tra le sue istituzioni.
Per quanto riguarda il primo punto, si registra un ampliamento generalizzato delle competenze attribuite all’Unione. Ad essa verrebbero attribuite competenze esclusive, che annullano cioè la sovranità degli stati nazionali, “per l’ambiente e la biodiversità e per i negoziati sui cambiamenti climatici”. Per quanto riguarda, invece, le competenze concorrenti ne verrebbero istituite di nuove “in materia di sanità pubblica e di tutela e promozione della salute umana, soprattutto in caso di minacce sanitarie transfrontaliere, nonché in materia di protezione civile, industria e istruzione. E verrebbero ulteriormente rafforzate le competenze concorrenti dell’Unione “nei settori dell’energia, degli affari esteri, della sicurezza esterna e della difesa, della politica in materia di frontiere esterne nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nonché delle infrastrutture transfrontaliere”.
Il passaggio critico su cui attiriamo l’attenzione è costituito proprio da questo ulteriore rafforzamento delle competenze concorrenti per tre ordini di motivi.
- In primo luogo, perché le competenze concorrenti sono di fatto delle competenze esclusive camuffate. Come spiega chiaramente lo stesso sito dell’Unione europea, che qui citiamo letteralmente, “competenza concorrente significa che sia l’UE che gli Stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti nei settori interessati. Tuttavia, gli Stati membri possono farlo soltanto se l’UE non ha esercitato la sua competenza o ha esplicitamente cessato di farlo” (6). Quella degli Stati membri è quindi una sovranità interstiziale, marginale, residuale. È la sovranità che viene loro “concessa” dall’Unione europea, quindi sostanzialmente fittizia.
- Secondo punto, sappiamo per esperienza recente (gestione della crisi finanziaria e PNRR), che l’Unione europea e, in particolare, la Commissione fanno un uso invasivo e ricattatorio della condizionalità politica riducendo drasticamente, se non annullando, i margini di autonomia degli Stati e dei loro governi democraticamente eletti. Le competenze concorrenti possono tradursi rapidamente e facilmente in competenze esclusive.
- Il terzo punto è ancora più rilevante e merita un approfondimento. Tra i settori in cui è previsto un ulteriore rafforzamento delle competenze dell’Unione europea compaiono la sicurezza esterna e la difesa, temi che Mario Draghi ha recentemente introdotto nell’agenda europea e che sono stati oggetto di recentissimi provvedimenti del governo italiano. Ciò significa che l’Unione europea acquisirebbe, qualora questa proposta di riforma fosse approvata, il potere di coinvolgere in conflitti bellici i popoli degli Stati membri. Ciò è confermato dal fatto che nella risoluzione del Parlamento europeo si “chiede l’istituzione di un’Unione della difesa che comprenda unità militari e una capacità di dispiegamento rapido permanente, sotto il comando operativo dell’Unione”. Insomma, l’Unione europea che, secondo il Manifesto di Ventotene, avrebbe dovuto garantire la convivenza pacifica tra i popoli, si prepara a fare la guerra.
Questi cambiamenti nelle competenze dell’Unione europea, che esercirebbe una vera e propria sovranità nei confronti degli Stati membri, assumono un particolare significato se considerati congiuntamente ai mutamenti proposti nei rapporti tra le istituzioni europee.
In generale, la strategia adottata si articola lungo tre direttrici: a) rafforzare il ruolo del Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini, rispetto al Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, b) conferire a tutti gli effetti alla Commissione la funzione di esecutivo politico dell’Unione europea e c) ridurre drasticamente negli organi decisionali il voto all’unanimità, e quindi il potere di veto dei singoli stati, a favore del voto a maggioranza semplice, qualificata e qualificata rafforzata.
Il terzo obiettivo lo abbiamo già trattato in occasione della conclusione dei lavori della Conferenza sul Futuro dell’Europa nel giugno 2022 (7). La risoluzione del 22 novembre 2023 è l’attuazione pratica di quanto allora approvato ed è quindi inutile ripetere quanto già scritto in quell’intervento, a cui rimando qualora qualcuno fosse interessato. Focalizziamo l’attenzione sulle prime due direttrici.
L’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo avviene attraverso tre canali. Il primo è il conferimento del potere di iniziativa legislativa, che prima era di competenza esclusiva della Commissione, anche al Parlamento europeo. Il secondo è l’attribuzione di pieni poteri di codecisione con il Consiglio europeo in settori (la difesa, il diritto di famiglia e, di importanza strategica, la governance economica) che in precedenza erano di pertinenza esclusiva del Consiglio (8). Il terzo canale, previsto dall’emendamento 41 (articolo 17, paragrafo 7 del Trattato sull’Unione europea) è la modifica sostanziale della procedura di nomina ed elezione del Presidente della Commissione europea (ora Esecutivo). Secondo il testo oggi in vigore, il Consiglio europeo, tenuto conto dell’andamento delle elezioni del Parlamento europeo e votando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla Presidenza della Commissione e il Parlamento lo vota a maggioranza dei membri che lo compongono. Quindi, è l’organo rappresentativo dei governi nazionali in carica che propone al nuovo Parlamento europeo, eletto dai cittadini, il possibile Presidente della Commissione. Nella proposta di riforma, invece, il rapporto si inverte: è il nuovo Parlamento europeo che, votando a maggioranza dei suoi componenti, propone un candidato alla Presidenza dell’Unione al Consiglio europeo che, a sua volta, lo elegge votando a maggioranza qualificata. Ciò implica che la nomina del Presidente dell’Unione (oggi Commissione) non riflette più tendenzialmente l’equilibrio, che può essere più o meno simmetrico, tra gli interessi dei vari Stati membri all’interno del Consiglio, bensì l’orientamento politico dei “cittadini europei” sulla base dei risultati delle elezioni europee che acquisirebbero così una sorta di primazia e di preminenza rispetto a quelle nazionali.
La Commissione, e qui passiamo alla seconda direttrice di intervento, si politicizza, diventa a tutti gli effetti un esecutivo politico. E ciò dipende dal combinato disposto tra a) le modalità di elezione parlamentare del Presidente, b) la richiesta “di consentire al Presidente della Commissione di scegliere i rispettivi membri in base alle preferenze politiche, garantendo al contempo l’equilibrio geografico e demografico” e c) il potere, riconosciuto già dalla normativa in vigore, di chiedere le dimissioni (obbligatorie) ad uno dei membri del “suo” esecutivo.
In sintesi, la risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 propone una sorta di sistema parlamentare bicamerale in cui la prima Camera è rappresentata dal Parlamento europeo, mentre la seconda è costituita dal Consiglio europeo; la prima rappresenta i singoli “cittadini europei”, la seconda gli Stati e i loro governi. Quindi, l’Esecutivo (oggi Commissione), riceverebbe una doppia legittimazione politica attraverso la procedura di nomina del suo Presidente: prima dal Parlamento e poi dal Consiglio Europeo.
Il significato politico della riforma: la parabola degli “Amici della pizza”
Ci sono quattro amici che da qualche anno hanno l’abitudine di andare a mangiare la pizza il sabato sera, ogni due settimane. A volte sono d’accordo sulla scelta della pizzeria, altre hanno idee differenti. In genere, basta un’oretta per trovare un accordo; ora si accontenta uno, ora si accontenta l’altro. A un certo punto, uno di loro, che per comodità chiameremo Mario, dice “Ragazzi, basta perdere tempo ogni volta per decidere in quale pizzeria andare. Da oggi allarghiamo il nostro gruppo e saremo gli otto “Amici della pizza”. Ma non solo, ci vedremo tutte le settimane e, sentite che bello, mangeremo tutti lo stesso identico tipo di pizza. Decideremo insieme se la margherita, la romana o la quattro stagioni”. Ovviamente le cose si complicarono. Per trovare un accordo su dove andare a mangiare la pizza e quale tipo di pizza mangiare gli otto “Amici della pizza” dovevano impegnare l’intera serata del venerdì. Si trovava un accordo, ma cresceva il numero degli scontenti. Allora, l’astuto Mario disse “Ragazzi, qui rischiamo che il nostro gruppo, gli “Amici della pizza”, si sciolga. Sarebbe un vero peccato. Stiamo così bene insieme! Ho trovato una soluzione per risolvere i nostri problemi. Includeremo altre otto persone e diventeremo i sedici “Amici della pizza”. E poi decideremo insieme, pensate che bello, non solo in quale pizzeria andare e quale tipo di pizza mangiare, ma anche quale bibita bere”. Le cose si complicarono: per trovare un accordo su pizzeria, pizza e bevanda comune i sedici “Amici della pizza” iniziarono ad impegnare non solo i loro venerdì sera, ma anche il sabato mattina. Mettersi d’accordo divenne sempre più difficile e andare a mangiare la pizza iniziò ad essere non più un piacere, ma un sacrificio. Qualcuno iniziò a pensare “Ma chi me lo fa fare?”, qualcun altro provò a contestare le decisioni prese, altri decisero di scegliere liberamente pizza e bevanda. Il gruppo degli “Amici della pizza” era chiaramente in crisi. E, ancora una volta, l’ingegnoso Mario risolse il problema: “Ragazzi, so io come uscire dalla crisi del nostro gruppo, dalla prossima settimana deciderò io e solo io in quale pizzeria andremo, quale pizza mangeremo e cosa berremo, così evitiamo perdite di tempo e smettiamo di litigare”. La proposta fu accolta con grande sollievo. Il gruppo degli “Amici della pizza” era salvo e si sarebbero liberati i venerdì sera e il sabato mattina di tutti. Ma ci fu qualcuno che non condivideva i gusti di Mario in fatto di pizze e bevande e, quindi, disertò l’appuntamento e se ne andò a mangiare in un altro locale. Non necessariamente una pizzeria.
Questa parabola illustra non solo quanto è accaduto, sta accadendo e rischia di accadere in Europa, ma anche il significato politico delle riforme proposte: enlarging and deepening, allargare e approfondire l’Unione europea. Oggi, questo disegno riformatore viene presentato come una risposta alla “aggressione” della Russia nei confronti dell’Ucraina (9). Si tratta di una menzogna colossale in quanto questa strategia, irrealistica e completamente errata dal punto di vista dell’analisi e della progettazione istituzionale, era già presente prima della guerra in Ucraina.