Nelly Furtado non è mai stata una cantante “normale”. Il suo folk-pop degli esordi ottenne lodi inaspettate (memorabile l’articolo che Nick Hornby dedicò alla sua “I’m like a bird”), poi i flirt con l’R’n’B iper moderno di Timbaland (oggi è passato di moda, per fortuna, ma 10 anni fa era il produttore che tutti volevano) e l’inevitabile disco in spagnolo (anche se lei è di origini portoghesi). “The Spirit Indestructible”, ultimo album di studio di 5 anni fa, non ha avuto grande successo, così ecco la ripartenza.
E funziona: perché “The ride” è un bel disco di pop non banale, in cui Nelly Furtado non rinnega le sue origini (“Live” sembra uscire dai primi dischi), ma gioca con nuovi suoni, sempre con canzoni cantabili e melodiche, come comanda la prima regola del pop.
C’è un po’ di elettronica (“Paris sun”), un po’ di sound anni ’80 (“Stick and stones”). C’è pure “Pipe dreams” una ballata R’n’B contemporanea, sul filone Frank Ocean – ormai diventato un modello di riferimento per chiunque, appunto, voglia mostrarsi “contemporaneo”. Qualche volta la produzione di Congleton esagera – e sembra di tornare ai tempi di Timbaland (“Palaces”, “Right road”). Ma alla fine Nelly Furtado è una “Phoenix” che è risorta dalla sue ceneri, come canta nell’ultima canzone del disco.
La nuova Furtado funziona, se persino Pitchfork dedica a “The ride” una buona recensione (la bibbia dell’indie aveva recensito solo “Loose”, il disco con Timbaland del 2006, definendolo “il migliore e peggiore album pop dell’anno”, poi l’aveva ignorata per il periodo successivo).
Ma il fatto è che “The ride” è proprio un disco di pop ben scritto, ben prodotto, con suoni curati e non scontati. Indie? Mainstream? Ma conta davvero, poi?