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      TRADERE

      Un altro concetto, al pari di sessualità e psiche che non ha ancora trovato una definizione condivisa, oserei dire scientifica, è la libertà. Cosa si intenda esattamente con il termine libertà non lo sa nessuno, eppure chiunque parla di libertà; caso strano, però, riguarda sempre il proprio stile di vita e mai quello degli altri; se un’ideale di vita contrasta con quello di un altro individuo uno dei due è illiberale. Per non parlare di quell’affermazione che viene ribadita in continuazione: “la tua libertà finisce dove inizia la mia”.

      Quindi questa libertà che deve essere limitata per fare tutti contenti sarebbe la libertà? E anche ammettendo che debba funzionare così, arriva la domanda da un miliardo di euro: chi decide questi limiti? Su cosa si basano? Mi si risponderà che esistono dei valori, questi sì condivisi, valori fondamentali che riguardano tutti gli individui come il valore della vita e quindi le necessità basilari per vivere; appurato che senza la soddisfazione di queste necessità un individuo non potrebbe dedicarsi ad altre attività o coltivare altri interessi e di fatto non sarebbe libero.

      Fino a qua il ragionamento ha una sua logica ma entrando nel merito iniziano ad apparire altri meccanismi: le necessità vitali sarebbero la possibilità di nutrirsi, avere una dimora, creare una famiglia. Peccato che qualcuno si dovrà occupare di produrre il cibo, costruire le case e visto che non possiamo andare in giro nudi magari produrre anche i vestiti e, guarda un po’, queste cose si pagano. E come faccio a pagarle? Lavorando e ricevendo uno stipendio. Però per lavorare deve esistere il lavoro e affinché il ragionamento abbia un senso significa che DEVE esistere un sistema che mi GARANTISCA tutto ciò che ho scritto, altrimenti quella parola piacevole da ascoltare che tutti nominano e usano per darsi importanza diventerebbe inutile. Il problema è che la specie umana è intelligente e di limitarsi a lavorare per mangiare, vestirsi e figliare non ne vuole sapere, l’uomo è curioso e sperimentando il mondo inventa metodi per migliorare la sua vita e più inventa più migliora, più migliora più conosce il benessere. Quindi, una volta soddisfatte le necessità vitali, voglio godere del benessere anche io, come singolo individuo, e qua iniziano i disastri: il sistema a cui mi riferisco è ovviamente la società e gli esseri umani sono “animali sociali” che senza riunirsi in comunità, col tempo diventate sempre più grandi, non potrebbero sopravvivere.

      Questa dipendenza dalla socialità significa che la libertà deve per forza avere un limite ed è quello relativo alla sopravvivenza degli individui, di conseguenza qualsiasi comportamento metta in pericolo il sistema sociale deve essere limitato e il benessere individuale non dovrà mai rappresentare un pericolo per il sistema. A questo punto però che senso ha dire “la tua libertà finisce dove inizia la mia”? Del resto l’unico limite è che il sistema sociale sopravviva, o no? Se la mia libertà trova un limite nella tua vuol dire che le nostre libertà entrano in conflitto e non sono compatibili tra loro ma essere libero vuol dire poter esprimere in parole e in azioni il proprio pensiero, concretizzare le proprie aspirazioni e coltivare i propri interessi. In breve gli interessi di un individuo o un gruppo di individui confliggono con quelli di un altro gruppo. Il cortocircuito che porta al conflitto tra due, o molte di più, concezioni diverse di libertà all’interno di una società basata sul diritto può essere spiegato con una osservazione di Gehlen[1]: «Una società disintegrata come la nostra, cioè una società altamente complessa e in rapida trasformazione, smantella le forme di integrazione tradizionali, che al rapporto del singolo con se stesso conferivano un contenuto in primo luogo SOCIALE».

      Le tradizioni in un gruppo sociale non solo permettono l’integrazione di un individuo ma sono essenziali per la coesione del gruppo stesso, offrono una base normativa, indicano uno stile di vita. Questo NON significa che non possano cambiare, essere modificate e aggiornate alla situazione attuale in cui si trova la società ma nel cambiare devono mantenere la loro logica iniziale, il loro significato fondamentale; il conflitto nasce quando convivono più tradizioni all’interno della stessa società e che tra di loro non hanno quasi o, in assoluto, nessun punto in comune, che sia dovuta alla nascita di nuovi fenomeni sociali o all’imposizione subdola da parte di forze esterne, la pluralità di tradizioni che si allontanano dal significato primario o che si aggiungono, in contrasto, a quelle storico-culturali è devastante per la coesione sociale, l’individuo non trova più nessuna abitudine sociale da seguire e in base a quella essere accettato e farsi accettare dal gruppo sociale. Se in una società dove si parla la lingua X alcuni gruppi iniziano a parlare altre lingue non potranno essere compresi e neppure accettati; le tradizioni sono un linguaggio tradotto in azioni avendo esse un significato ben preciso e un’origine storica ma il fine è sempre stato impedire la disgregazione del gruppo sociale, renderlo unito.

      La tradizione è figlia di un’abitudine e l’abitudine è una forma di azione che si attiva in un determinato modo e momento; a sua volta è nata in un determinato momento nel tempo e nello spazio perché si era rivelata utile o addirittura necessaria per sopravvivere, in pratica le abitudini della vita passata dei nostri simili ci vengono tramandate sotto forma di tradizioni. Come ho già accennato le abitudini cambiano, o perdono la loro utilità, e di conseguenza anche le tradizioni possono cambiare ma DEVE SEMPRE trattarsi di un miglioramento delle condizioni di vita dell’intero gruppo sociale, deve esserci una logica peculiare, una tradizione fine a se stessa non ha senso e quando un meccanismo non ha senso, ma viene imposto, vuol dire che ha senso per qualcun’altro che è interessato per farlo rispettare.

      Altra osservazione potrebbe essere relativa al concetto di laicità, secondo il quale più fedi religiose, possono convivere all’interno di una società; introduco le religioni perché la maggior parte delle tradizioni hanno radici religiose e di conseguenza la laicità dovrebbe riguardare anche le tradizioni. Ragionandoci siamo di fronte ad una limitazione dello spazio sociale in cui le religioni possono manifestarsi permettendo che in quello spazio sociale si manifesti che cosa esattamente? La risposta di solito è: una morale condivisa basata su valori in cui tutti possono sentirsi rappresentati, un contenitore in cui le diverse morali religiose e le relative tradizioni possano affluire.

      E di nuovo si torna a chi sceglie questi valori, in base a cosa e quale struttura abbia questo magico contenitore dove tutti fanno e credono ai cazzi loro vivendo felici e contenti.

      E per non perdere il filo del ragionamento: l’umanità senza società non può esistere e all’interno della società esistono sempre codici morali che limitano la libertà degli individui; le religioni contengono quei precetti morali utili affinché l’intelligenza unita alle spinte pulsionali, nel suo creare benessere e nella sua infinita curiosità, non allontani gli individui dal loro dovere di preservare la società, ovvero la loro sopravvivenza.

      Una prima osservazione relativa alle pulsioni vitali slegate dall’istinto e diventate INDIPENDENTI dalle esigenze vitali, venendo così vissute come fonte di piacere esclusive, l’ha data Scheler[2]: «Ogni qual volta la vita pulsionale – che è originariamente orientata verso beni materiali e modi di comportamento, ma MAI verso la sensazione del piacere in sé – viene invece utilizzata principalmente come fonte di piacere, come accade ad esempio in ogni forma di edonismo, allora ci si trova di fronte a una tarda manifestazione di decadenza morale.» e continuando aggiunge «[…] soltanto nell’uomo la capacità di isolare la pulsione dal comportamento istintivo, e il piacere di uno STATO momentaneo dal piacere della FUNZIONE, assume le forme più mostruose, tanto che a ragione si è potuto sostenere che l’uomo può essere solo superiore o inferiore all’animale, MAI però uguale all’animale.».

      Due definizioni interessanti in merito le ha date anche Bergson[3] «[…] la religione è dunque una reazione difensiva della natura contro il potere disgregante dell’intelligenza», inoltre «[…] la religione è una reazione difensiva della natura contro la rappresentazione, compiuta dall’intelligenza, dell’inevitabilità della morte». E torniamo al concetto di laico, la cui nascita è legata sostanzialmente all’attribuzione di un valore superiore proprio a quella intelligenza (quindi siamo in un’ottica illuminista) che se lasciata correre senza limiti porterebbe più disastri che vantaggi; in questo caso è la ragione, l’intelletto, che offrirà una nuova morale e di conseguenza nuovi limiti alla libertà. Ma come può l’intelletto, nella sua attività SENZA limiti porre dei limiti morali, quindi, a se stesso? Io credo che Bergson, nel dire «Diamo dunque alla parola biologia il senso molto comprensivo che dovrebbe avere, che prenderà forse un giorno, e diciamo per concludere che ogni morale è di essenza biologica», ponga l’accento sul fatto che la vita, nel suo manifestarsi, contiene la risposta alla definizione di libertà, visto che dovendo preservarsi è suo interesse porre dei limiti alle potenzialità incredibili della specie umana che essa stessa ha creato. Infine concludo con un’altra affermazione di Bergson che trovo più che mai attuale relativa allo scontro odierno tra diverse moralità dove ognuno è convinto di seguire una propria teoria del Bene: «Si costruisce dunque un rifugio nella teoria platonica delle idee con una Idea del Bene che domina tutte le altre: le ragioni di agire si ordinano al di sotto dell’Idea del Bene, e le migliori sono quelle che maggiormente le sono vicine; l’attrattiva del Bene sarebbe costitutiva dell’obbligazione. Ma si resta in tal caso profondamente imbarazzati nel dire da quale indizio riconosciamo che una condotta è più o meno vicina al Bene ideale: se lo si sapesse, l’indizio sarebbe l’essenziale e l’idea del Bene diventerebbe inutile».

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