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      • Una nuova economia per un nuovo mondo

      Una nuova economia per un nuovo mondo

      In questo articolo cercheremo di analizzare l’economia partendo da quelle che sono le sue componenti costitutive e le loro rispettive funzioni. In questo percorso utilizziamo, come chiave di lettura, la teoria economica MMT o Teoria della Moneta Moderna che ci pare possa descriverne al meglio le sue dinamiche. E’ necessario innanzitutto individuare quali sono i soggetti e i settori che interagiscono nei processi economici per comprenderne ruoli e potenzialità. La formula dei Saldi Settoriali, fondamento base della macroeconomia, ne enuncia tre: il Settore Pubblico (tutte le strutture amministrative dello Stato), il Settore Privato (famiglie, imprese e banche private) e Settore Estero (tutti i soggetti economici al di fuori dei confini nazionali).

      In premessa, il primo concetto da chiarire è quello di ricchezza che possiamo catalogare in Ricchezza Reale (RR) e Ricchezza Finanziaria (RF). Per ricchezza reale si intende tutto ciò che produciamo e consumiamo ed è costituito da beni, merci e servizi. La RR viene prodotta dal lavoro dell’uomo; il lavoro diventa il fattore più importante da valorizzare in quanto rappresenta il vero e proprio motore per l’economia e per la nostra stessa sopravvivenza. Con il lavoro creiamo RR e per scambiarci i suoi prodotti abbiamo bisogno di uno strumento, una convenzione creata dal mercato per potersi evolvere e sviluppare: la moneta. La moneta è un’unità di conto, un’unità di misura dei beni reali e del lavoro che serve per la loro creazione e costituisce la cosiddetta ricchezza finanziaria (RF). Un primo fondamentale assioma da evidenziare è: senza RR non ci può essere RF; se non ci sono beni da acquistare, la moneta perde completamente il suo valore.

      Torniamo alla RR che è costituita dall’insieme di beni, materiali e immateriali, che ci permettono di vivere la nostra vita in modo sostenibile e soddisfacente e che vengono prodotti essenzialmente dal nostro lavoro e dalla nostra creatività. Questo ci porta alla necessità primaria di valorizzare il lavoro al suo massimo potenziale fino al raggiungimento del benessere generale, possibilmente con il contributo di tutti coloro che sono abili al lavoro: più persone lavorano, maggiore sarà la creazione di RR. Ne consegue che il primo obiettivo a cui tendere, per lo sviluppo ottimale dell’economia, è la piena occupazione. In relazione a questo aspetto dobbiamo sottolineare una delle più grandi incongruenze del liberismo che impone un livello di disoccupazione strutturale (NAIRU: Non Accelerating Inflation Rate of Unenployment) sotto il quale si ritiene, erroneamente, che possa aumentare l’inflazione. Per l’Italia, l’Unione Europea ha calcolato che l’indice ottimale di disoccupazione debba attestarsi attorno al 9%; una demenziale oltre che criminale assurdità. Abbiamo casi reali che certificano la fallacia di questa teoria, uno su tutti è il Giappone: disoccupazione intorno al 2,5% (praticamente piena occupazione) e inflazione stabile ai valori minimi.

      Compreso il ruolo fondamentale del lavoro come processo generativo dell’economia reale, cerchiamo di quantificarne l’importanza sotto l’aspetto macroeconomico. Il Mercato si basa su due componenti essenziali: domanda e offerta. La prima presuppone un determinato potere d’acquisto che generalmente deve poter essere soddisfatto dall’offerta; se tutti lavoriamo, grazie anche al grande sviluppo della tecnologia, si potrà sicuramente garantire una produzione di beni e servizi più che sufficiente a soddisfare i bisogni e il benessere dell’intera popolazione mondiale. A questo punto la nostra attenzione si deve concentrare su un parametro essenziale per poter equilibrare il rapporto fra domanda e offerta: il potere di acquisto dei salari. E’ indispensabile, in questa “era dell’abbondanza”, che il Settore Privato abbia le risorse finanziarie per poter accedere all’utilizzo dei beni prodotti dal mondo del lavoro. E’ dei nostri giorni il grave problema, nell’economia italiana, di una domanda stagnante che non permette il pieno utilizzo dei beni che il mercato offre; questo per le assurde e autolesioniste politiche di austerità dell’Unione Europea, perseguite e condivise da un’acefala politica nazionale. Un’altra gravissima causa del bassissimo livello dei salari nel nostro Paese è costituita dalla struttura stessa dell’Eurozona dove, trovandoci di fatto in un sistema monetario a cambio fisso, per normalizzare i naturali squilibri che si creano fra le diverse economie dell’Eurozona, non potendo utilizzare l’indispensabile meccanismo della svalutazione della moneta, siamo costretti a subire la svalutazione dei salari, in particolare noi Italiani a causa del nostro alto “Debito Pubblico” che, come sa chi ci legge, è un problema solo ed esclusivamente per i Paesi dell’Eurozona in quanto non sono detentori e monopolisti di una propria valuta, che dovrebbe essere l’Euro, ma solo utilizzatori. Ricordiamo che, in conseguenza di questi meccanismi perversi, gli stipendi in Italia, unico caso al mondo, sono fermi dagli anni ’90, una follia criminale.

      Ne consegue che, con un basso potere di acquisto dei salari, la domanda è decisamente inferiore all’offerta e questo comporta automaticamente una riduzione della produzione che provoca licenziamenti con una conseguente e ulteriore diminuzione della domanda; questa spirale recessiva porta alla deflazione dell’economia che, con gli attuali vincoli europei, possiamo ritenere irreversibile.

      A questo punto, e fondamentale chiarire che l’unico soggetto macroeconomico capace di invertire questo processo di impoverimento generale, con manovre anticicliche, è lo Stato attraverso la Spesa Pubblica e ad opportune politiche fiscali; il fine è quello di fornire una maggiore liquidità finanziaria al circuito economico. Riduzione delle tasse, aumento degli investimenti pubblici, aumento delle pensioni, aumento dei salari pubblici (oltre che privati) costituiscono alcuni dei più importanti stimoli alla crescita dell’economia. Giova ricordare, in questo contesto, come sia fondamentale la Sovranità Monetaria di una Nazione, in quanto è la sola e imprescindibile condizione che possa permettere al Governo di accedere, attraverso la propria Banca Centrale, a risorse finanziarie praticamente illimitate. Ricordiamoci che la moneta è una convenzione, uno strumento degli Stati per sviluppare il Mercato permettendo lo scambio di beni e servizi, non è una risorsa naturale che si può esaurire; la moneta cosiddetta “fiat”, ovvero senza nessun valore reale sottostante, come è stato l’oro ai tempi del Gold Standard, è creata dal sistema delle Banche Centrali in funzione delle politiche economiche decise dai Governi. L’unico vincolo che ne limita l’emissione è il livello di economia reale del Paese: un’economia forte permetterà e necessiterà di alte emissioni di moneta, un’economia debole imporrà un’emissione di moneta proporzionalmente più bassa; immetterne in eccesso, innescherebbe un poco auspicabile processo inflattivo. In conclusione, un Paese non diventa più ricco stampando più moneta ma aumentando la sua capacità produttiva, ovvero aumentando la sua creazione di Ricchezza Reale. In virtù del suo potenziale finanziario, lo Stato potrebbe attivare Piani di Lavoro Garantito per i lavoratori disoccupati impegnandoli, ad esempio, in ampi settori, generalmente molto sottoccupati, per la gestione e il mantenimento di servizi alla persona e all’ambiente. Questo creerebbe un forte aumento dell’occupazione con più servizi (RR) e più domanda per il Mercato, in sostanza, più economia e più benessere per tutti con un sistema decisamente più stabile degli attuali, ovvero meno suscettibile alle variazioni dei cicli economici.

      Da questa analisi si comprende l’importanza vitale dello Stato come pilastro insostituibile dell’economia reale e ci fa comprender l’insignificanza e la fallacia di quel cancro planetario costituito dal liberismo che impone privatizzazioni selvagge e la marginalizzazione pressochè totale dello Stato dall’economia.

      In un contesto internazionale, creare uno Stato più resiliente con un buon settore produttivo, un mercato interno fiorente e una bilancia commerciale con l’estero che riesce a mantenersi in una posizione di equilibrio, sono le migliori garanzie per un’economia sicura e di successo. L’attuale paradigma liberista, che si basa sulla massimizzazione delle esportazioni, rappresenta la fonte principale dell’instabilità dei Mercati in quanto espressione di una politica predatoria che amplifica esponenzialmente gli squilibri delle varie economie, soprattutto quelle dei Paesi in via di sviluppo.

      Un aspetto determinante, per comprendere i ruoli dei vari attori macroeconomici, è rappresentato dalle diverse finalità fra l’economia privata, che si deve confrontare in un regime di concorrenza sia a livello nazionale che internazionale e l’economia pubblica di ogni Stato che non entra, e non deve entrare, in concorrenza con gli altri Stati. Questo aspetto è fondamentale in quanto ci permette di capire la reale possibilità di cooperazione fra le Nazioni, indispensabile per un futuro di benessere e di pace per il mondo intero. L’unico presupposto è quello di dover superare stupidi nazionalismi e pregiudizi etnici e culturali che limitano l’enorme potenziale di sviluppo che si potrebbe avere dall’azione coordinata di tutte le economie nazionali, soprattutto nel nostro tempo dove l’interconnessione fra gli Stati e le loro economie è fortemente radicata e capillare in tutto il pianeta.

      In queste settimane stiamo assistendo a una importante fibrillazione dei mercati internazionali destabilizzati dalle politiche aggressive di Trump con l’imposizione a pioggia dei suoi dazi. Non sappiamo, con esattezza, vista l’alternanza fra annunci e sospensioni, se c’è una volontà reale di applicarli, tutti o in parte, o di utilizzarli soprattutto come mezzo di trattativa per ulteriori scopi, ma dobbiamo rilevare quanto la sua azione unilaterale non permetta un dialogo costruttivo nel rispetto di tutte le Nazioni. In un contesto di così grande instabilità e incertezza, uno Stato che abbia le caratteristiche sopra enunciate, primo fra tutti un mercato interno ben sviluppato, sarà quasi impermeabile agli effetti negativi di una riduzione delle importazioni, come in questo caso si prevede avvenga verso gli USA. Uno Stato con una solida struttura produttiva e dotato di una propria valuta, sarà sempre nelle condizioni di reagire in modo efficace a questo problema come a tanti altri che possono provenire dai Mercati Internazionali. A questo proposito è bene chiarire un concetto molto importante che condiziona milioni di cittadini europei in quanto credono di essere più tutelati da una grande entità come l’Unione Europea rispetto ad un singolo Paese; nulla fu mai più inesatto e la storia ce lo dimostra. La caratteristica che rende più forte uno Stato è la qualità della sua economia (e della sua politica) e della capacità di reagire in tempo reale agli stress dei Mercati. Non sono le dimensioni del Paese che contano, tantomeno nel caso, appunto, della UE, un pachiderma con i piedi d’argilla che applica regole recessive ed è intrisa di una tale burocrazia da rendere i suoi tempi operativi eterni essendo, inoltre, priva di una vera rappresentanza che la rende, a livello internazionale, votata alla più vergognosa irrilevanza.

      Con la finanziarizzazione dell’economia e l’avvento del liberismo, si è sviluppata una globalizzazione selvaggia che supera e sottomette l’economia reale, ormai completamente subalterna alla finanza, azzerando il peso delle economie nazionali. Ma il neoliberismo ha fallito, è morto, è crollato sotto i suoi demenziali e insostenibili paradigmi che hanno trasformato l’economia mondiale in un inferno di ingiustizia e violenza condizionando antropologicamente l’intera umanità verso un futuro disumanizzato, privo di qualsiasi principio etico e senza nessuna prospettiva escatologica per chi cerca un senso nella vita. E’ importante comprendere i mortiferi effetti collaterali del liberismo il cui materialismo darwiniano costringe gli orizzonti esistenziali entro una visione utilitaristica ed edonistica della vita dove gli unici obiettivi sono il profitto e il potere ovvero la prevaricazione sugli altri imposta dalla competizione, il “dogma” fondante del pensiero liberista.

      La crescita per un’economia globale può ripartire solo dalla valorizzazione delle economie nazionali che si devono sviluppare all’interno di ogni Paese, e ciascuno di essi deve imporsi l’obbligo di collaborare con gli altri su regole nuove, che nascano da una reale programmazione che aiuti ciascuna nazione a sviluppare il suo mercato interno compatibilmente a una gestione condivisa dei rapporti economici internazionali.

      Un altro cambiamento epocale, perché ciò possa attuarsi, impone la necessità assoluta di rompere la catena che lega la finanza internazionale all’economia reale, la speculazione al lavoro, la corruzione dei grandi potentati finanziari ai governi. Ritornare ai tempi della legge Glass-Steagall Act che prevedeva la separazione fra le Banche Commerciali e le Banche di Investimento (leggasi speculative) è un imperativo. A questo va aggiunto il ripristino di Banche Pubbliche con la primaria funzione del credito per famiglie e imprese e con la garanzia assoluta della tutela sul risparmio privato. E’ bene ricordare che queste ultime sono espressione tangibile del potere monetario dello Stato che, in regime di sovranità monetaria, può garantire indipendenza delle politiche economiche, risorse finanziarie illimitate, economicità, sicurezza e affidabilità assolute.

      Per tutto questo bisogna, in ultimo, cambiare il paradigma culturale che imponga come vertice del pensiero economico il benessere della persona e, quindi, della comunità. Non possiamo più permettere che ideologie deviate come il primato del Mercato con le sue brame di massimizzazione del profitto o le ipocrite politiche green, per salvare il pianeta, vadano a discapito della dignità e della qualità della vita delle persone. E’ evidente a tutti che, per una migliore qualità della vita, si debba lavorare per creare un ambiente sano cercando di ridurre l’inquinamento al minimo utilizzando le risorse in modo sostenibile; ma tutto questo è una conseguenza dell’impegno sensato che pone, come obiettivo, il benessere dell’intera comunità mondiale. Oggi, invece, assistiamo allo strapotere delle multinazionali che, calpestando ogni diritto e senza il minimo rispetto per l’ambiente, stanno letteralmente distruggendo il mondo in nome del profitto….e del potere. Un dato significativo riguarda le prime cento multinazionali che producono il 70% dell’inquinamento totale del pianeta. Questo ci dà la misura dell’ipocrisia e della disinformazione di cui siamo vittime grazie anche e soprattutto al monopolio dei media da parte di pochi grandi gruppi che manipolano e strumentalizzano l’informazione per i loro perversi interessi.

      Un mondo migliore e più degno lo potremo raggiungere solo aumentando la nostra consapevolezza di cittadini con l’impegno a diventare i nuovi protagonisti della vita politica partecipando attivamente alle scelte che un futuro estremamente complesso ci imporrà di fare. Come diceva il grande Lev Tolstoj: “Un Popolo unito è più forte di qualsiasi esercito”. Pensate a quanto saremmo più forti, se uniti, di poche migliaia di criminali planetari.

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