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      • Benvenuti nell’Età della Fuffa

      Benvenuti nell’Età della Fuffa

      Signori, stiamo vivendo nell’epoca della fuffa. È la fuffa il vero comun denominatore della politica, della comunicazione e della televisione, perfino della cultura allestita per i media. Siamo spettatori del Circo Fuffa. Si, mi rendo conto, è arduo generalizzare, ed è difficile dare una definizione valida per vari ambiti, largamente comprensiva anzi inclusiva, per dirla col lessico della fuffa. Siamo circondati da tanti furfanti, ma i fuffanti o fuffatori sono di più. Fuffa fa rima baciata con truffa. Non riuscendo a definire il presente, Roberto Calasso lo chiamava “l’innominabile attuale”, un tempo che non ha nome, privo di una connessione e un’identità che ne dia il senso e il destino. Ma a ben pensarci e a osservare la realtà con occhio sgombro, l’epoca che stiamo vivendo, in quest’Italia e in quest’Europa, è l’età della fuffa. La politica, la tv, la comunicazione, perfino culturale, trasformano in fuffa tutto ciò che toccano. Con le dovute eccezioni, s’intende. È una gigantesca sostituzione della realtà con la fuffa, e dell’intelligenza del reale con la fuffa.

      Che significa precisamente fuffa? Tutto ciò che è vero, è autentico, è reale, è essenziale, è profondo, è intelligente viene cancellato, rimosso, emarginato. Resta solo la schiuma, il rigurgito, il fuoco fatuo, l’apparenza, la chiacchiera, la roba superflua e dozzinale, priva di valore e di significato, che non ha nulla di autentico. Per dirla in altro modo è la sostituzione del vero col kitsch che ha un significato analogo seppure in versione estetica perché riguarda il gusto. La politica è da tempo immersa dentro il regno della fuffa. Da una parte vedi fiorire supercazzole, palloni lanciati in tribuna per non misurarsi col terreno di gioco, fughe in avanti, di lato, indietro; monta il gergo della falsità. Dall’altra vedi l’attenzione prestata a cose del tutto irrilevanti o quando sono rilevanti vengono subito tradotte e banalizzate in sciocchezze e ninnoli. Non c’è profondità che non venga profanata e imbecillita, ridotta in crosta o glassa di superficie, con la scusa di rendersi più commestibile e accessibile ai più, giacché viviamo un’epoca mercantile e il cittadino è ridotto a cliente. La politica inscenata in tv è una sequenza di fuffe contrapposte: chi sta al governo o lo sostiene recita una serie di cose finte, esagerate sulla bontà assoluta della sua azione, esattamente come chi sta all’opposizione e denuncia la fine della libertà, della democrazia, dello stato sociale, di ogni bene. Col preciso sottinteso che a ruoli invertiti, direbbero e perfino farebbero le stesse cose che fa l’altro, anche perché sono ormai esecutori e sudditi di poteri sovrastanti. Fuffa, solo fuffa.

      Poi vedi la realtà e ti rendi conto che non corrisponde a quel che dicono i venditori di fuffa. La realtà si riprende lo spazio con gli imprevisti, le tragedie, le sue dure repliche, i casi di cronaca e la residua umanità.

      Lo specchio principale dell’invasione fuffesca, anzi il fuffometro più vistoso, resta la tv. Tutto ciò che non nasce in tv, dalla tv e per la tv, è tradotto in fuffa per essere più adatto e più malleabile al gergo, al format, al pubblico televisivo, ai tempi rapidi e ai modi superficiali. E si trasforma da fuffa in merce, il che è spesso la stessa cosa. E da merce, permettetemi la volgarità, si trasforma in merda. Tutto deve farsi attuale, cioè idiota e cieco, rientrare nei temi del giorno; tutto deve farsi bianco o nero, buono o cattivo. Tutto dev’essere smerciabile, masticabile, potabile. Tutto deve valere ad altezza d’uomo, pro o contro qualcuno. E tutto sembra provenire da quell’orifizio posteriore collocato a metà dell’uomo. Il clou del talk show è quando un ospite smerda un altro, anche se nei resoconti di questa spettacolare macelleria da latrina si usano termini più soft, come asfalta, mette a tacere, distrugge. Il palio della fuffa.

      In quel contesto l’abilità è tutta nella capacità di interpretare con fervore e padronanza la fuffa recitata in pubblico. Se esprimi pensieri ti chiedono subito di trasformarli in figurine, non vogliamo idee ma faccine per album, o al più slogan. Se ti azzardi a esprimere un’idea ti tolgono la parola per riprendere il rassicurante chiacchiericcio sulle cose più a portata di tutti, le cose del giorno che fanno trend, sennò crollano gli ascolti. Se descrivi un potere culturale di decenni, la buttano sui casi personali del momento, per sollevare beghe e scazzi e poter poi scendere al livello delle portinaie e fare nomi su chi esce e chi entra nel palazzo. E non vi dico se esprimi un’idea in dissenso, non riconducibile allo schema binario imposto, soprattutto in quei programmi di tendenza, nel senso di tendenziosi. (Sostengo da anni che il meglio della tv è l’antologia, techetechete, per esempio).

      La fuffa rimbalza pure nei social, col loro brutale gergo diretto, che è il contrario di eterodiretto, perché senza filtri, mediatori e conduttori. Ma il modello imperante anche nelle cloache dei social è la fuffa sparsa intorno. Sui social l’insulto è interattivo, non devi solo ascoltarlo da telespettatore ma puoi partecipare al massacro, in democrazia diretta, e sentirti giudice supremo e popolo sovrano, anche nelle cose che non sai. La materia del contendere il più delle volte non è la realtà ma la sua rappresentazione, cioè la paccottiglia kitsch che se ne è derivata.

      La tv-live diventa così il modello a cui adeguare la comunicazione in generale, la vita e perfino la riflessione culturale, ormai sparita dalle pagine culturali in poi; tutto per sopravvivere, per vendere, per farsi best seller, per entrare nella chiacchiera dei siti gossip, deve ridursi a fuffa. Tutto è immerso in quella caricatura di dialogo, intervista e conversazione che è il talk-show; tutto diventa talk show, per essere efficace non devi esprimere un pensiero ma una didascalia, devi dire una frase ad effetto, anche falsa ma scenica; mai tentare un argomentato discorso, ci sono i tempi veloci, cade la soglia d’attenzione, casca l’audience e soprattutto casca l’asino, cioè l’ignoranza media universale; presto, con urgenza, interrompere, smerdare, alzare il tono, sopraffare, trasmutare in fuffa e poi cambiare subito scena, passo e chiudo. In tv funzionano lite, sesso e merce, variante moderna di un vecchio titolo di un film, Pugni, pupe e dinamite; che era poi una serie di film col terzo termine variabile (quanto sono vecchio, ricordo quei film anni sessanta di Eddie Constantine). Le preoccupazioni nell’ordine sono fare bella figura, schierarsi con una parte, trarre profitto dalla posizione assunta. Poi, chi se ne fotte della realtà.

      In tv meglio darsi ai film, ai documentari sui luoghi e sulle bestie, o se proprio devi restare tra i viventi contemporanei, le partite, Frassica e qualche concerto; cioè lo sport, la musica, la geozoologia, il comico grottesco. Neanche le previsioni meteo sono credibili, figuriamoci il resto. In fondo se la politica desta sempre meno fiducia e interesse, se la comunicazione non verte mai sull’essenziale e sul vero, la cultura deve farsi solo puttanata di contorno. E poi se mezza Italia, mezza Europa, non vota, probabilmente la ragione primaria è la percezione di vivere in una bolla surreale chiamata fuffa, dove non c’è la vita vera, né cambia nulla anche se cambiano le parti; si inscena solo quel teatrino, poi c’è la pubblicità. Cosa manca in questo teatrino? Manca la passione di verità. Il vero è sempre subordinato a qualcosa che rende di più. Manca o scarseggia chi parla, agisce e pensa per amor del vero.

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