Come al solito, PD, verdi, rossi, viola e compagnucci vari non riescono a guardare oltre il proprio naso. Si sono avvinghiati al naufragio di Cutro come ad un’áncora di salvezza, convinti di mettere in difficoltá la Meloni e il suo governo con lo scodellamento dell’ultima ridicola richiesta di dimissioni: oggi tocca al ministro degli Interni e a quello delle Infrastrutture, dopo le richieste dimissioni del ministro della Pubblica Istruzione, del ministro della Giustizia, del suo Sottosegretario, del Presidente di non so quale Commissione parlamentare, e forse anche di qualcun altro che al momento mi sfugge. Secondo Storace – sempre in gran tiro – fra breve ai sinistri non resterá che chiedere le dimissioni della fidanzata di Salvini.
In veritá, Schlein, Conte e onorata compagnía non si rendono conto di aver fatto un grande favore alla Damigella di Palazzo Chigi, offrendole il destro per scrollarsi di dosso l’immagine di bieca antimmigrazionista e per riciclarsi come sostenitrice di quell’immigrazionismo “legale” che tanto piace ai poteri forti dell’Unione Europea.
Ecco, cosí, che la Pulzella de noantri convoca un estemporaneo Consiglio dei Ministri a Cutro, adotta misure draconiane contro gli scafisti, e srotola il tappeto rosso davanti ai migranti dei cinque Continenti, alla sola condizione che entrino in Italia su regolari voli di linea e non sui malandati natanti dei trafficanti o sui taxi marittimi delle ONG. Dopo di che, messaggio duro e puro al pennellone di Bruxelles, risposta protocollare (e bugiarda) sull’Italia che non sará “lasciata sola” dall’Europa, e rituale messaggio rassicurante all’elettorato benpensante, in sollucchero davanti a tanto vigore mostrato al mondo intero.
E, per il caso che il messaggio ai potentati di Bruxelles e di Washington non fosse arrivato forte e chiaro, ecco che, poche ore dopo la conclusione del CdM di Cutro, il ministro dell’Agricoltura nonché cognatissimo della Meloni, Francesco Lollobrigida, si fa intervistare dalla “Stampa” e dichiara che il governo sta lavorando all’arrivo di mezzo milione di immigrati, ma “regolari”. Il tutto – udite, udite – perché mancano lavoratori stagionali in agricoltura o, nel periodo estivo, bagnini e guardaspiagge. Come se, dopo i pochi mesi di lavoro piú o meno regolare, gli stagionali non ritornino a ingrossare le giá foltissime file dei disoccupati di casa nostra.
La veritá – come ho scritto in precedenti occasioni – é che il concetto stesso di “immigrazione” deve essere ricondotto alla sua connotazione originaria: quella di una occasione che talora si presenta a qualcuno, e non – assolutamente – quella di un “diritto” che spetti a chiunque non si trovi a proprio agio nella patria d’origine.
Né – specularmente – si puó attribuire agli Stati meta di immigrazione il “dovere morale” di far entrare chiunque, affrontando spese enormi per “salvataggi” ed “accoglienza”, e spese ancor piú ingenti per assicurare ai “salvati” il necessario per vivere decentemente, con alloggio popolare, assistenza sanitaria, trattamento previdenziale e, naturalmente, diritto a rimanere per sé, per i propri figli e per i parenti piú o meno prossimi che frattanto saranno stati chiamati per il “ricongiungimento”.
Tutto ció – si tenga ben presente – si pone per i migranti irregolari ma anche per quelli regolari o regolarizzati, anche per i cinquecentomila che Meloni, Lollobrigida e finanche uno smarrito Musumeci stanno pensando di far arrivare qui da noi attraverso regolari “corridoi umanitari”.
Né puó essere portata a giustificazione la pessima gestione del mercato del lavoro italiano. Vero é che in alcuni comparti economici i datori di lavoro stentino a trovare prestatori d’opera (grazie anche ad un reddito di cittadinanza concepito “alla grillina”). Ma é anche vero che in Italia ci sono milioni di disoccupati, inoccupati e sottooccupati; e fra questi – esclusi i pelandroni alla ricerca di ferie pagate piú che di una occupazione – tanti, tantissimi disperati, pronti a fare un qualsiasi lavoro pur di poter portare il pane a casa. La veritá é che qui da noi non c’é bisogno di immigrati, ma c’é piuttosto bisogno di riaprire gli uffici di collocamento e di assicurarne il corretto (e produttivo) funzionamento.
Quanto fin qui detto, naturalmente, si riferisce ai “migranti”, cioé a quanti – secondo le convenzioni internazionali – hanno lasciato la propria patria volontariamente (per motivi economici o per qualsiasi altro motivo) e vogliano stabilirsi in un altro paese per libera scelta.
Cosa diversa, invece, sono coloro cui le convenzioni internazionali riconoscono la qualifica di “rifugiati”. Rifugiato é colui che é costretto ad emigrare «per fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalitá, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinione politica». Solo a costoro – e dopo il rigoroso accertamento della fondatezza dei paventati pericoli – va accordato asilo.
Ma l’asilo – per sua natura – va inteso come istituto temporaneo, da concedere solo fino a quando permangano i “fondati timori”. L’asilo non puó certamente essere inteso come diritto a rimanere sul suolo dello Stato ospitante per tutta la vita, né tantomeno ad acquisirne la cittadinanza (ed i diritti connessi) per sé e per i propri discendenti.
Esiste poi una terza fattispecie, quella del “profugo”, «termine generico – cito dal sito del Consiglio Italiano per i Rifugiati – che indica chi lascia il proprio paese a causa di eventi esterni (guerre, invasioni, rivolte, catastrofi naturali)». Ma, attenzione – e qui sta il punto – senza avere lo status giuridico di rifugiato, presupposto indispensabile per ottenere la “protezione” dello Stato ospitante.
Perché questa fondamentale differenza? Semplice: perché il rifugiato politico è una figura individuale, è una singola persona che – se ricondotta nel proprio paese – rischia una ingiusta (si presume) punizione, se non anche la perdita della vita. I profughi, invece, sono una categoria plurima, sono un insieme di persone che fuggono da un pericolo generico ancorché grave. Il rifugiato è talora costretto a prolungare nel tempo la propria permanenza all’estero, talché potrebbe addirittura integrarsi nello Stato ospitante (e eccezionalmente ottenerne la cittadinanza). I profughi, al contrario, essendo solitamente in numero rilevante, possono ragionevolmente aspirare soltanto ad una ospitalità temporanea, per il periodo strettamente necessario al ritorno della normalità nel paese di origine: periodo che potrà durare anche alcuni anni, ma che dovrà necessariamente avere termine. Ecco perché – di solito e senza che qualcuno ne organizzi l’esodo “spontaneo” – sono ospitati in campi di raccolta posti poco oltre la frontiera degli Stati confinanti, campi generalmente organizzati e gestiti dall’ONU.
E tuttavia, anche per ció che concerne i profughi, alcune distinzioni vanno fatte. Prendiamo, per esempio, gli asiatici che giungono in Italia attraverso la rotta balcanica o direttamente via mare dalla Turchia. In che misura tutti costoro possono essere considerati “profughi”? Perché – si faccia attenzione – nella gran parte dei casi non ci troviamo di fronte a gente che fugge dal proprio paese, ma a persone che hanno già trovato un asilo oltre le frontiere del proprio paese, segnatamente in Turchia, nelle strutture create con i finanziamenti miliardari dell’Unione Europea. Dopo di che, in una fase successiva, un certo numero di quei profughi hanno deciso di affrontare un viaggio per raggiungere una destinazione migliore, in Europa e segnatamente nell’Italia accogliona. Naturalmente non mi pronunzio sull’aspetto tecnico, formale: se cioé, in questo caso, il viaggio di costoro verso l’Europa possa essere considerato una prosecuzione della fuga dal paese flagellato da guerre o terremoti, o non piuttosto una “migrazione economica” dal paese di prima accoglienza verso una destinazione maggiormente appetibile.
In ogni caso – e concludo – sia che si tratti di profughi o di rifugiati o di semplici migranti economici, la questione é troppo vasta, articolata, e complessa perché possa essere affrontata con la disarmante faciloneria di cui i nostri governanti hanno dato prova in questi giorni.
Il problema non si esaurisce certo nella regolaritá o meno degli ingressi; né il via libera alla accoglienza (costosissima) di un altro mezzo milione di immigrati puó essere deciso per ovviare all’orario di lavoro dei bagnini. Si tratta di scelte di fondo, epocali, gravide di conseguenze in tutti i campi della nostra vita civile e sui difficili equilibri della nostra economia nazionale. Spero che qualcuno se ne renda finalmente conto.