Cinthya Chung – Strategic Culture – 3 giugno 2020
Abbiamo lasciato la nostra storia al rovesciamento da parte della SIS-CIA del leader nazionalista iraniano Mohammad Mosaddegh nel 1953. A questo punto lo Scià poté tornare in Iran da Roma e Fazlollah Zahedi, appoggiato dai britannici e protagonista del colpo di Stato, sostituì Mosaddegh come Primo Ministro dell’Iran. Qui riprendiamo la nostra storia.
Introduzione allo “Scià degli Scià”, il “Re dei Re
Una cosa importante da sapere su Mohammad Reza Shah è che non era un fan dell’imperialismo britannico ed era un sostenitore dell’indipendenza e della crescita industriale dell’Iran. Detto questo, lo Scià era un uomo profondamente imperfetto che non aveva la fermezza necessaria per assicurare un destino così positivo all’Iran. Dopotutto, a quel punto i colpi di stato guidati dall’estero erano diventati piuttosto comuni in Iran.
Sarebbe diventato Scià nel 1941, all’età di 22 anni, dopo che gli inglesi avevano costretto il padre Reza Shah all’esilio. A quel punto, la Persia aveva già vissuto 70 anni di imperialismo britannico, riducendo il suo popolo quasi all’indigenza.
Mohammad Reza Shah aveva sviluppato ottime relazioni con gli Stati Uniti sotto la guida del Presidente FDR, che per volere dello Shah redasse la Dichiarazione sull’Iran, che pose fine all’occupazione straniera dell’Iran da parte degli inglesi e dei sovietici dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Suo padre, Reza Shahera salito al trono dopo il rovesciamento di Ahmad Shah nel 1921, responsabile della firma del famigerato Accordo anglo-persiano del 1919, che aveva trasformato l’Iran in un protettorato de facto gestito da “consiglieri” britannici e così assicurato all’Impero britannico il controllo del petrolio iraniano.
Nonostante i problemi di Reza Shah (Mosaddegh fu mandato in esilio durante il suo regno), egli aveva ottenuto risultati significativi per l’Iran. Tra questi, lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, 15.000 miglia di strade entro il 1940 e la costruzione della ferrovia trans-iraniana, inaugurata nel 1938.
Mohammad Reza Shah desiderava continuare questa percorso di progresso, ma avrebbe dovuto prima passare attraverso la Gran Bretagna e, sempre più spesso anche gli Stati Uniti, per realizzare il sogno iraniano di un futuro migliore.
Nel 1973, Mohammad Reza Shah pensava di aver finalmente trovato la sua occasione per trasformare l’Iran nella “sesta potenza industriale del mondo” in una sola generazione…
L’OPEC e il sistema monetario europeo contro le “Sette Sorelle
Nel 1960 cinque Paesi produttori di petrolio, Venezuela, Iraq, Arabia Saudita, Iran e Kuwait fondarono l’OPEC, nel tentativo di influenzare e stabilizzare il prezzo di mercato del petrolio, che a sua volta avrebbe stabilizzato il ritorno economico delle loro nazioni. La formazione dell’OPEC segnò una svolta verso la sovranità nazionale sulle risorse naturali.
Tuttavia, in quel periodo l’OPEC non aveva una voce forte in questi affari, soprattutto a causa delle “Sette Sorelle” che controllavano circa l’86% del petrolio prodotto dai Paesi OPEC. Le “Sette Sorelle” era il nome delle sette compagnie petrolifere transnazionali del cartello “Consortium of Iran” che dominavano l’industria petrolifera mondiale, con la British Petroleum che possedeva il 40% e la Royal Dutch Shell il 14%, dando in quel periodo alla Gran Bretagna il primato con il 54% di proprietà.
Dopo il 1973, con l’improvviso aumento del prezzo del petrolio, lo Scià iniziò a vedere un’opportunità di azione indipendente.
Lo Scià vedeva nell’aumento dei prezzi un modo per far uscire il suo Paese dall’arretratezza. Con grande irritazione dei suoi sponsor, lo Scià si impegnò a portare l’Iran tra le prime dieci nazioni industriali del mondo entro il 2000.
Lo Scià capiva che, affinché questa visione diventasse realtà, l’Iran non poteva limitarsi a rimanere un produttore di greggio, ma doveva investire in un futuro più stabile attraverso la crescita industriale. E, guarda caso, Francia e Germania Ovest erano pronte a fare un’offerta.
Nel 1978, Francia e Germania Ovest guidarono la comunità europea, con l’eccezione della Gran Bretagna, nella formazione del Sistema Monetario Europeo (SME). Lo SME fu una risposta alla disintegrazione controllata che si era scatenata sull’economia mondiale dopo che nel 1971 il tasso di cambio fisso era diventato un tasso di cambio fluttuante
Il ministro degli Esteri francese Jean Francois-Poncet aveva dichiarato a una conferenza stampa dell’ONU che, nella sua visione, lo SME avrebbe dovuto sostituire il FMI e la Banca Mondiale come centri della finanza mondiale.
Per coloro che non sono consapevoli della devastazione che il FMI e la Banca Mondiale hanno provocato nel mondo, si rimanda a “Confessioni di un sicario dell’economia” di John Perkins… la situazione oggi è 10 volte peggiore.
Già nel 1977, Francia e Germania Ovest avevano iniziato a esplorare la possibilità di concretizzare un accordo con i Paesi produttori di petrolio in cui l’Europa occidentale avrebbe fornito esportazioni di alta tecnologia, compresa la tecnologia nucleare, ai Paesi OPEC in cambio di contratti di fornitura di petrolio a lungo termine a un prezzo stabile. A loro volta, i Paesi OPEC avrebbero depositato le loro enormi eccedenze finanziarie nelle banche dell’Europa occidentale, che avrebbero potuto essere utilizzate per ulteriori prestiti a favore di progetti di sviluppo… ovviamente a scapito dell’egemonia del FMI e della Banca Mondiale.
L’amministrazione Carter non ne fu contenta e inviò il vicepresidente Walter Mondale in Francia e Germania Ovest per “informarli” che gli Stati Uniti si sarebbero d’ora in poi opposti alla vendita di tecnologia energetica nucleare al Terzo Mondo… e che quindi anche loro avrebbero dovuto farlo. L’accordo nucleare della Germania Ovest con il Brasile e la promessa della Francia di vendere tecnologia nucleare alla Corea del Sud avevano già subito pesanti attacchi.
Inoltre, lo Scià aveva avviato una più stretta collaborazione con l’Iraq e l’Arabia Saudita, cementata nelle riunioni dell’OPEC del 1977 e del 1978. In una conferenza stampa del 1977 lo Scià dichiarò che avrebbe lavorato per la stabilità dei prezzi del petrolio. All’epoca, Arabia Saudita e Iran producevano insieme quasi la metà dell’intera produzione dell’OPEC.
Se un asse Iran-Saudita-Iraq avesse stabilito una relazione di lavoro permanente con lo SME, avrebbe messo insieme una combinazione inarrestabile contro il centro finanziario mondiale di Londra.
Ricordiamo che già nel 1951, sotto Mosaddegh, Francia e Germania Ovest avevano ignorato gli inviti britannici a boicottare il petrolio iraniano, e quindi non c’era alcuna indicazione che anche questa volta avrebbero seguito l’esempio di Gran Bretagna e Stati Uniti.
Per Londra e Washington il regno dello Scià era finito.
British Petroleum, BBC News e Amnesty International come servi della Corona
Se dovessimo scegliere una data per l’inizio della rivoluzione iraniana sarebbe il novembre 1976, il mese in cui Amnesty International pubblicò il suo rapporto che denunciava la brutalità e la tortura dei prigionieri politici da parte dello Scià dell’Iran.
Ironia della sorte, laSAVAK, che fu la polizia segreta sotto lo scià dal 1957 al 1979, fu istituita e praticamente gestita dal SIS (alias MI6), dalla CIA e dal Mossad israeliano. Questo è un fatto ben noto, eppure è stato trattato come in qualche modo irrilevante durante le richieste di Amnesty International per un intervento umanitario in Iran.
Per coloro che non hanno ancora scoperto i veri colori di Amnesty International dal loro recente “lavoro” in Siria… dovrebbe essere noto che lavora per i servizi segreti britannici.
Racconti raccapriccianti di torture e mutilazioni con scariche elettriche sono stati pubblicati dal London Times, dal Washington Post e da altri “autorevoli organi di stampa” (il virgolettato è del traduttore). Nel giro di pochi mesi, il Presidente Carter lanciava la sua campagna per i “diritti umani”. In questo modo, la protesta umanitaria internazionale si faceva sempre più forte, chiedendo la rimozione dello scià.
Lo Scià si trovava tra l’incudine e il martello, poiché era noto per non essere forte in materia di “sicurezza” e spesso si affidava completamente alla gestione di altri. Una volta che Amnesty International ebbe lanciato il grido di guerra, lo Scià commise l’errore di non solo difendere l’indifendibile SAVAK sulla scena pubblica, ma di continuare a fidarsi completamente di loro. Sarebbe stato il suo più grande errore.
Con l’intensificarsi del soffiare sul fuoco internazionale, le trasmissioni in lingua persiana della British Broadcasting Corporation (BBC) in Iran alimentarono le fiamme della rivolta.
Per tutto il 1978, la BBC dislocò decine di corrispondenti in tutto il Paese, in ogni città e villaggio remoto. I corrispondenti della BBC, spesso alle dipendenze dei servizi segreti britannici, lavoravano come agenti di intelligence per la rivoluzione.
Ogni giorno la BBC riportava in Iran resoconti cruenti di presunte atrocità commesse dalla polizia iraniana, spesso senza verificarne la veridicità. È ormai riconosciuto che queste notizie contribuirono ad alimentare e persino ad organizzare la spinta politico verso una rivoluzione iraniana.
Nel 1978, la British Petroleum (BP) stava negoziando con il governo iraniano il rinnovo del contratto di 25 anni stipulato nel 1953 dopo il colpo di Stato anglo-americano contro Mosaddegh. Nell’ottobre 1978, nel pieno della rivoluzione, i negoziati fallirono. La BP rifiutò le richieste della National Iranian Oil Company (NIOC), rifiutandosi di acquistare una quantità minima di barili di petrolio iraniano, ma pretendendo comunque il diritto esclusivo di acquistare quel petrolio se avesse voluto farlo in futuro!
Lo Scià e la NIOC rifiutarono l’offerta finale della BP. Se lo Scià avesse superato la rivolta, nel 1979 l’Iran sarebbe stato libero nella sua politica di vendita del petrolio e avrebbe potuto commercializzare il proprio petrolio alle compagnie statali di Francia, Spagna, Brasile e molti altri Paesi su base statale.
Sulla stampa americana non è stata pubblicata quasi una riga sulla lotta iraniana contro la BP, la vera lotta umanitaria per gli iraniani.
La spada di Damocle
L’”Arco di crisi” è una teoria geopolitica incentrata sulla politica americana/occidentale nei confronti del mondo musulmano. È stata elaborata per la prima volta dallo storico britannico Bernard Lewis, considerato il principale esperto al mondo di studi orientali, in particolare dell’Islam, e delle sue implicazioni per l’odierna politica occidentale.
Bernard Lewis è stato consulente del Dipartimento di Stato americano dal 1977 al 1981. Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale, avrebbe annunciato l’adozione della teoria dell’”Arco di crisi” da parte dell’esercito americano e della NATO nel 1978.
Oggi è ampiamente riconosciuto che l’”Arco di crisi” aveva come obiettivo principale la destabilizzazione dell’URSS e dell’Iran. Questo aspetto verrà approfondito nella terza parte di questa serie.
L’Egitto e Israele avrebbero dovuto fungere da paesi promotori dell’espansione della NATO in Medio Oriente. L’Iran sarebbe stato l’anello successivo.
La rivoluzione iraniana era perfettamente in linea con l’avvio dell’”Arco di crisi” e la NATO aveva il suo motivo “umanitario” per entrare in scena.
Tuttavia, la lotta in Iran non era finita.
Il 4 gennaio 1979, lo scià nominò primo ministro dell’Iran Shapour Bakhtiar, un rispettato membro del Fronte Nazionale. Bakhtiar era tenuto in grande considerazione non solo dai francesi, ma anche dai nazionalisti iraniani. Non appena il suo governo fu ratificato, Bakhtiar iniziò a varare una serie di importanti riforme: nazionalizzò completamente tutti gli interessi petroliferi britannici in Iran, pose fine alla legge marziale, abolì la SAVAK e tirò fuori l’Iran dal CENTO, dichiarando che l’Iran non sarebbe più stato “il gendarme del Golfo”.
Bakhtiar annunciò anche che avrebbe rimosso Ardeshir Zahedi dalla sua posizione di ambasciatore iraniano negli Stati Uniti.
Si trattava di una mela che non era caduta lontana dall’albero: Ardeshir era il figlio di Fazlollah Zahedi, l’uomo che aveva guidato il colpo di Stato contro Mosaddegh e lo aveva sostituito come Primo Ministro!
Ardeshir era sospettato di aver disinformato lo Scià sugli eventi che circondavano la rivoluzione iraniana ed era tipico che da Teheran parlasse al telefono con Brzezinski a Washington almeno una volta al giorno, spesso due volte al giorno, come parte del suo “lavoro” di ambasciatore negli Stati Uniti durante il picco della rivoluzione iraniana.
Con l’escalation delle tensioni al massimo, lo Scià accettò di trasferire tutto il potere a Bakhtiar e lasciò l’Iran il 16 gennaio 1979 per una “lunga vacanza” (alias esilio), per non farvi più ritorno.
Tuttavia, nonostante le iniziative coraggiose di Bakhtiar, il danno era ormai troppo grande e le iene stavano girando intorno.
È noto che dal 7 gennaio all’inizio di febbraio 1979, il numero 2 della catena di comando della NATO, il generale Robert Huyser, si trovava in Iran e in quel periodo era in frequente contatto con Brzezinski. Si ritiene che il compito di Huyser fosse quello di evitare qualsiasi tentativo di colpo di Stato per interrompere la presa di potere delle forze rivoluzionarie di Khomeini, ingannando ampiamente i generali iraniani con false informazioni e promesse statunitensi. Documenti recentemente declassificati sulla visita di Huyser in Iran confermano questi sospetti.
Durante la “lunga vacanza” dello Scià, la sua salute si deteriorò rapidamente. Purtroppo lo Scià non era mai stato un buon giudice ed aveva mantenuto un dialogo serrato con Henry Kissinger su come affrontare i suoi problemi di salute. Nell’ottobre 1979, allo Scià fu diagnosticato un cancro e fu presa la decisione di mandarlo negli Stati Uniti per un trattamento medico.
Questa decisione fu molto spinta e sostenuta da Brzezinski e Kissinger, nonostante quasi tutti i rapporti di intelligence indicassero che ciò avrebbe portato a un esito disastroso.
Il 18 novembre 1979, il New York Times riportava:
La decisione fu presa nonostante il fatto che il presidente Carter e i suoi consiglieri politici più anziani sapessero da mesi che accogliere lo scià avrebbe potuto mettere in pericolo gli americani all’ambasciata di Teheran. Un assistente riferì che in una riunione dello staff Carter aveva chiesto: “Quando gli iraniani prenderanno in ostaggio il nostro popolo a Teheran, cosa mi consiglierete?”. ‘
Il 22 ottobre 1979, lo Scià arrivava a New York per ricevere cure mediche. Dodici giorni dopo, l’ambasciata americana a Teheran veniva occupata e 52 ostaggi americani vi rimasero prigionieri per 444 giorni!
Con la presa degli ostaggi, l’amministrazione Carter, come previsto dall’”Arco di crisi”, mise in moto il suo scenario per la gestione delle crisi globali.
La crisi degli ostaggi, una risposta prevedibile al 100% alla decisione degli Stati Uniti di accogliere lo Scià in America, fu la minaccia esterna di cui l’Amministrazione Carter aveva bisogno per invocare l’International Emergency Economic Powers Act, che autorizza il Presidente a regolare il commercio internazionale dopo aver dichiarato un’emergenza nazionale in risposta a una minaccia straordinaria.
Con questa nuova autorità, il Presidente Carter annunciò il congelamento di tutte le attività finanziarie tra Stati Uniti e Iran, per un ammontare di oltre 6 miliardi di dollari, comprese le filiali di banche americane all’estero. Immediatamente i mercati finanziari mondiali furono presi dal panico e i grandi depositanti in dollari dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, in particolare le banche centrali dell’OPEC, iniziarono a ritirarsi da ulteriori impegni.
Il mercato degli eurodollari si paralizzò e la maggior parte dei prestiti internazionali si fermò in attesa di risolvere le complesse questioni legali.
Tuttavia, la conseguenza di gran lunga più grave delle “azioni di emergenza” dell’Amministrazione Carter fu quella di spaventare gli altri governi dell’OPEC allontanandoli dai prestiti a lungo termine proprio nel momento in cui la Germania Ovest e la Francia stavano cercando di attirare depositi nell’apparato finanziario associato al Sistema Monetario Europeo (SME).
Inoltre, le insistenti richieste dell’Amministrazione Carter all’Europa occidentale e al Giappone di invocare sanzioni economiche contro l’Iran equivalevano a chiedere loro di tagliarsi la gola. Tuttavia, le crescenti tensioni politiche riuscirono a rompere le alleanze economiche e iniziò il lento salasso dell’Europa.
A pochi giorni dalla cattura degli ostaggi, venne fornito il pretesto per una vasta espansione della presenza militare statunitense in Medio Oriente e nell’Oceano Indiano.
Vi suona familiare?
Il messaggio non sfuggì all’Europa. In un articolo del 28 novembre 1979 su Le Figaro, Paul Marie de la Gorce, che era in stretto contatto con il palazzo presidenziale francese, concludeva che l’intervento militare ed economico degli Stati Uniti in Iran avrebbe causato “più danni all’Europa e al Giappone che all’Iran“. E che coloro che sostenevano tali soluzioni erano “consapevolmente o meno ispirati dalle lezioni impartite da Henry Kissinger“.
Durante i 444 giorni della crisi degli ostaggi, si profilava sempre un’invasione degli Stati Uniti su larga scala. Tale invasione non era mai stata finalizzata ad assicurare le forniture di petrolio agli Stati Uniti, quano piuttosto a negarle all’Europa occidentale e al Giappone.
Se gli Stati Uniti si fossero impossessati delle forniture di petrolio in Iran, il colpo alle economie dell’Europa occidentale avrebbe messo fuori gioco lo SME. Così, durante i 444 giorni di detenzione degli ostaggi americani, questa minaccia fu tenuta sopra la testa dell’Europa come una spada di Damocle.
La terza parte di questa trilogia tratterà il periodo che va dal 1979 ad oggi, compreso l’assassinio del Magg. Gen. Qasem Soleimani.