Informazioni demografiche e biometriche, ovvero dieci impronte digitali, due scansioni dell’iride e una fotografia facciale nell’abbinamento con cellulare e Smartphone. Nell’India digitale solo così si può avere Aadhaar, in lingua hindi ‘fondamenta’, dal Ministero dell’elettronica e dell’informatica disponibile per tutti dalla culla alla tomba, per il neonato fino all’anziano. 12 cifre univoche rilasciate come tessera annonaria con microchip a radiofrequenze in cambio di sussidi, vantaggi, pensione, carburante e cibo, a metà tra reddito di cittadinanza, sistema di credito sociale cinese e potenziamento del Super Green Pass italiano. “E l’unico programma del genere a livello mondiale in cui un’ID digitale e online all’avanguardia viene fornita gratuitamente su così ampia scala di cittadini – si legge nel sito del Governo indiano sul lasciapassare valido pure per scuola, lavoro, banche, ospedali e vaccinazioni Covid-19– ed ha il potenziale per cambiare il modo in cui funziona la fornitura dei servizi alla nazione”. L’asiatico Aadhaar ambisce all’inclusione sociale, diritti e libertà monitorate in QR Code come vorrebbe il Wallet system del ministro Vittorio Colao, nonostante la Corte Suprema dell’India abbia affermato come “nessuno dovrebbe soffrire per non aver ricevuto Aadhaar” e che lo Stato non può negare un servizio a chi non ha l’identità digitale. Infatti, oltre la sorveglianza dei cittadini e il trafugamento sistematico dei dati (assente in India una legge sulla privacy), la Black Mirror indiana sta collezionando vittime, un filotto di macabre tragedie manco fossimo al museo degli orrori. “Nessun’altra democrazia al mondo sottopone i suoi cittadini a un tale rischio per tutta la vita”, contestano gli oppositori. Perché il piano d’ingegneria sociale spacciato per modello da imitare in realtà uccide per denutrizione, aumentando la fame in tutto il paese, dove poveri delle aree rurali e cittadini de-digitalizzati sono oggi i nuovi esclusi dall’informatizzazione tra le vette dell’Himalaya e il sacro Gange: la lista nera è lunga.
Santoshi Kumari, 11 anni, è morta chiedendo riso nel distretto di Simdega, cancellata l’Aadhaar di famiglia per mancato collegamento al sistema centrale. Premani Kunwar, 64 anni, è morto di fame in un villaggio a Garhwa, per due mesi negate le razioni alimentari nonostante un’identità digitale valida e regolarmente attiva. Ruplal Marandi, 60 anni, è morto di fame nel distretto di Deoghar dopo che l’autenticazione biometrica non è riuscita a provare la sua identità. Etwariya Devi, 67 anni, è morta di fame e stanchezza prolungata in un villaggio dello Jharkhand, negate pensione e alimenti per scarsa connettività a Internet: per tre mesi Aadhaar non è riuscita a leggere la sua impronta digitale. Poi c’è Malhar 25 anni, vive in una capanna di ramoscelli, foglie e fango in un villaggio vicino Ramgarh: “Mio padre è morto perché non ha potuto ottenere la sua Aadhaar – dice il giovane – e io non ricevo cibo perché la mia Aadhaar non è collegata al negozio di razioni”. E via così, Sat nam, tra le denunce di cittadini indifesi e il negazionismo istituzionale che smentisce la correlazione tra decessi e programma digitale: in un solo anno, però, nel solo Stato dello Jharkhand, delle 57 morti per fame almeno 19 sono state addebitate sul conto di Aadhaar.
“Disumanizzante”, l’avvocato civilista Shyam Divan definisce la digitalizzazione dell’esistenza nell’esclusione sociale dei nuovi emarginati, il futuro ineludibile che prima non c’era nell’avanzata del nuovo paradigma tecnologico della Quarta Rivoluzione Industriale. Perché sotto mentite spoglie, in India come in Italia si sta instaurando un neo-feudalesimo 3.0 nella riproposizione delle caste per la tecnogabbia a colpi di devices e super App: la più tirannica, tecnocratica e totalitaria delle distopie mai contemplate nella storia dell’umanità. Namasté.