L’altro giorno chiesi al primo addetto disponibile del supermercato se il minifaretto alogeno, che avevo preso dallo scaffale, era a alimentato a 12 o 220 Volt, dal momento che sulla confezione era indicata solo la potenza di 35 Watt. Come temevo il poveretto, imbarazzato, non seppe rispondere, ma una gentile signora casualmente presente si intromise per aiutarmi, dicendo che bastava controllare un solo dato: “Stia tranquillo, quando i Watt corrispondono vuol dire che va bene!”
La mia sincera riconoscenza per l’inattesa solidarietà tra consumatori però non bastò a dissimulare un’involontaria smorfia di compatimento, evidentemente percepita dall’arguta signora che reagì subito defilandosi elegantemente dalla scena.
Questo purtroppo è il livello medio di conoscenza scientifica delle masse votanti, che con tutta la loro buona volontà non riescono quasi mai a cogliere gli aspetti tecnici delle scelte politiche imposte dall’alto senza contraddittorio, grazie anche al contributo disorientativo dei giornalisti venduti che operano all’interno dello schiacciassi mediatico mainstream.
Veniamo allora alla questione del giorno, la assoluta necessità di metano per la nostra sopravvivenza economica e fisica. Parliamo di quella materia prima che fino a poco tempo fa “ti dava una mano”, parafrasando un vecchio slogan pubblicitario di SNAM, quando ancora bastava e costava poco. Si tratta di un prodotto energetico talmente utile e importante che ormai tutti lo chiamano “il gas”, come dire “the voice” al posto di Frank Sinatra, confondendo uno dei tre stati classici della materia con la composizione chimica che identifica il metano stesso. Questa è semplicemente CH4, cioè una molecola formata da un atomo di carbonio (6 protoni nel nucleo) e 4 atomi di idrogeno (1 protone nel nucleo).
Bruciare metano significa combinarlo con la molecola formata da 2 atomi di ossigeno (8 protoni nel nucleo) presente nell’aria secca in proporzione del 23% circa (si esclude dal calcolo la presenza di vapor d’acqua nell’aria, molto variabile con le condizioni meteo).
La reazione chimica, detta combustione che produce calore, è perciò molto semplice:
CH4 + 2 O2 ==> CO2 + 2 H2O . In parole una molecola di metano si combina con 2 molecole d’ossigeno per formare una molecola di anidride carbonica e 2 molecole d’acqua. Quest’ultima anch’essa in forma gassosa, cioè vapor d’acqua, tranne che nelle caldaie a condensazione, che hanno un’efficienza paradossalmente anche superiore al 100%, cioè producono più energia termica di quella implicita nella semplice combustione del metano, grazie all’aggiunta di calore ottenuto nel liquefare il vapor d’acqua contenuto nei gas di scarico (calore latente di condensazione). Un calore “rubato” ai fumi della combustione, che così si raffreddano. Il recupero di tale calore aggiunto è realizzabile nella produzione di acqua calda sanitaria e per riscaldamento domestico, ed è ormai questa la tecnologia standard di mercato, che molti hanno in casa. Ma vediamo gli aspetti principali dell’ecologia ambientale relativamente al ciclo del metano.
Innanzitutto la quantità di CO2 prodotta nell’ossidazione (combustione) del metano, a parità di energia ottenuta, è di gran lunga inferiore rispetto ad ogni altro combustibile fossile. Il motivo è semplice: nel metano c’è molto idrogeno (4 atomi per ogni atomo di carbonio), la cui ossidazione non forma anidride carbonica, bensì acqua. Entrambe le sostanze chimiche prodotte, H2O e CO2, sono comunque già presenti in abbondanza nell’ambiente e, nelle proporzioni naturali sono del tutto innocue per la salute umana e delle altre specie animali e vegetali. Anche le eventuali sostanze chimiche inquinanti presenti nella materia prima d’origine fossile sono facilmente eliminabili, cioè la purezza del metano commerciale è molto elevata, a scanso di inquinamenti collaterali.
Il metano fossile, che si è formato dai residui organici in milioni di anni, è abbondantissimo e presente in varia misura un po’ ovunque in cavità sotterranee naturali. Lo si può produrre anche artificialmente come biogas dai rifiuti organici, e in tale minima proporzione rappresenta una risorsa rinnovabile. Ma avrà pure qualche difetto! Uno di questi è che il suo rilascio nell’atmosfera è fortemente clima-alterante, come effetto serra che riscalda il pianeta, ben più della stessa CO2 a parità di massa considerata. Ma per fortuna nell’aria ce n’è pochissimo a differenza della CO2, e quello che c’è proviene in gran parte da fenomeni naturali incontrollabili. In ogni caso si degrada spontaneamente in una decina d’anni, con un processo lento ma analogo alla combustione.
L’altro limite utilitaristico del metano fossile, e qui veniamo al punto cruciale, è che si trova in enormi giacimenti facilmente sfruttabili, ma a grande distanza dagli utilizzatori finali. Da qui la necessità di trasportarlo così com’è, allo stato gassoso, tramite lunghissimi gasdotti, che possono anche attraversare tratti di mare limitati e poco profondi, ma non certo superare le distanze e le profondità oceaniche. Ricordiamo che i tubi per trasportare il metano a lunghe distanze hanno tipicamente un diametro interno di più di un metro, una parete d’acciaio di più di 4 cm di spessore, e un rivestimento protettivo di cemento armato di più di 10 cm di spessore. Ogni troncone di 12 m pesa così attorno alle 25 tonnellate, poco di più della spinta di Archimede che riceve sott’acqua, condizione necessaria per non venire a galla. Sulla terraferma i tubi vengono solitamente interrati quando attraversano aree popolate, nel mare semplicemente adagiati sul fondo, dove sono evidentemente più vulnerabili agli attacchi ostili.
Veniamo ora alla soluzione alternativa dell’approvvigionamento da oltreoceano, un totale controsenso in termini di efficienza energetica, costi, sicurezza, inquinamento ambientale.
La “furbata” per risolvere tale problema è la liquefazione del metano, che può avvenire a pressione atmosferica raffreddandolo almeno a – 162 °C. Si ricorda che la temperatura più bassa raggiungibile nell’Universo è di circa – 273 °C, detta anche zero assoluto misurato in gradi Kelvin, una scala di temperature che non contempla la possibilità fisica di registrare valori negativi. Come termine di paragone, il surgelatore domestico arriva al massimo a – 25 °C.
L’energia necessaria per il complesso processo di liquefazione corrisponde a circa il 6% dell’energia ottenuta dalla combustione del metano stesso così trattato. Una perdita che si somma all’energia necessaria per l’estrazione, il trasporto, la rigassificazione, ecc. Inoltre si verificano inevitabilmente consistenti sversamenti di metano in atmosfera anche nelle fasi di liquefazione e rigassificazione.
Per inciso è bene ricordare che il GPL, gas liquido da petrolio, è tutt’altra cosa. Composto principalmente da butano e propano, viene conservato in bombole alla pressione di qualche atmosfera, variabile in funzione della temperatura ambiente. Per ogni Kg ha un potere calorifico poco più che doppio del metano. Molti giornalisti mainstream non distinguono ancora tra le due realtà, parlando genericamente di “gas liquido”, ossia un ossimoro aggiunto alla già grande confusione mentale provocata nel pubblico che subisce la “sapienza” divulgata da questi cialtroni.
Tornando al GNL, gas naturale liquefatto, si ottiene una riduzione di volume del metano, da gas a liquido, di circa 600 volte, rendendolo trasportabile su navi dedicate, all’interno di speciali contenitori criogenici. Queste metaniere a loro volta sono molto energivore, sia per mantenere il carico a pressione e temperatura (- 162 °C) controllate per tutto il tempo, sia perché il lungo viaggio di ritorno è a vuoto, data l’impossibilità di utilizzare diversamente mezzi tanto specializzati.
La capacità media delle metaniere attualmente in esercizio è attorno ai 100 milioni di metri cubi di metano (una volta rigassificato), ma arrivano anche a 160 milioni. Per sostituire i 70 miliardi di metri cubi di metano prima importato allo stato gassoso in Italia, dovremmo tutti gli anni far arrivare da 500 a 700 navi metaniere (più di 2 navi al giorno nella stagione fredda), valutandone responsabilmente l’impatto in termini ambientali, di rischio incidente (definito da probabilità x gravità) e di costo economico ineliminabile delle operazioni di trasporto primario, liquefazione, trasporto via nave, rigassificazione, trasporto secondario. Non possiamo neppure escludere anche il rischio attentati. Il potenziale energetico del carico di una metaniera è di circa 1 megaton (un megaton è l’equivalente nucleare del potenziale esplosivo di un milione di tonnellate di tritolo TNT. Il volume di questa quantità di esplosivo convenzionale corrisponde ad un cubo di 85 m di lato, alto quindi come un palazzo di 28 piani!), cioè 20 volte la potenzialità massima di 50 chiloton selezionabile per la bomba atomica B61-12 di nuova generazione, destinata dagli USA all’Europa in funzione antirussa.
Ma le modalità di scoppio del metano in caso di rilascio del carico sono ancora più inquietanti, così descritte dallo scomparso Piero Angela già nel 2007:
Una grande nave metaniera, che trasporta 125 mila metri cubi di gas liquefatto a bassissima temperatura, contiene un potenziale energetico enorme. Se nelle vicinanze della costa, per un incidente, dovesse spezzarsi e rovesciare in mare il gas liquefatto, potrebbe cominciare una sequenza di eventi catastrofici. Il gas freddissimo, a contatto con l’acqua di mare, molto più calda, inizierebbe a ribollire, a evaporare e formare una pericolosa nube. Questa nube di metano evaporato rimarrebbe più fredda e più densa dell’aria e potrebbe viaggiare sfiorando la superficie marina, spinta dal vento, verso la terraferma. Scaldandosi lentamente la nube comincerebbe a mescolarsi con l’aria. Una miscela fra il 5 e il 15 percento di metano con l’aria è esplosiva. Il resto è facilmente immaginabile. Se questa miscela gassosa, invisibile e inodore, investisse una città, una qualsiasi (inevitabile) scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube. La potenza liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate di tritolo, nell’ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche. Le vittime immediate potrebbero essere decine di migliaia, mentre le sostanze cancerogene sviluppate dagli enormi incendi scatenati dall’esplosione, ricadendo su aree vastissime, sarebbero inalate in “piccole dosi”, dando luogo a un numero non calcolabile, ma sicuramente alto, di morti differite nell’arco di 80 anni. Si tratta di uno scenario assolutamente improbabile, ma non impossibile. Quello della metaniera, che si spezza vicino alla costa, viene definito il peggior scenario “energetico” possibile. Cioè l’incidente più catastrofico immaginabile fra tutte le fonti energetiche.
Ma da dove provengono queste navi metaniere? Al momento metà dagli USA, che estraggono il metano con tecniche di fracking e di perforazione orizzontale. Le preoccupazioni connesse con le operazioni di fratturazione idraulica sono quattro: inquinamento delle falde acquifere, impatto ambientale-paesaggistico (desertificazione), rischio di provocare eventi sismici, effetto serra per rilascio di metano in atmosfera in fase di estrazione. Quest’ultimo non riguarda solo il suolo americano ma l’intero pianeta.
Fortunatamente un ostacolo concreto alla diffusione di questi assurdi commerci energetici transatlantici era il costo proibitivo delle tecnologie necessarie, che misero fuori mercato questa offerta agli acquirenti europei, italiani compresi. Un problema che le compagnie energetiche USA, le stesse che fecero fuori Enrico Mattei, hanno risolto grazie all’operazione NATO di “Piazza Maidan” del 2014 (presidenza Obama), fino ad arrivare alle sanzioni e ai sabotaggi di questi giorni al convenientissimo gas russo via gasdotti. Come se non bastasse le stesse compagnie private intervengono anche pesantemente con azioni di lobbying a Bruxelles. Guarda caso gli europarlamentari polacchi, fortemente sostenuti dal loro governo, costituiscono la testa d’ariete della lobby del fracking, dipingendo un quadro roseo dello sviluppo dello shale gas in Europa, che secondo loro potrebbe portarci all’indipendenza energetica dalla sempre odiata Russia, e ovviamente avvantaggiare la Polonia che lo pratica già dal 2009 sul proprio territorio.
Lo schema collaudato da decenni a livello globale è sempre lo stesso, come già visto anche nella gestione pandemica con i “vaccini”: chi strumentalmente crea il problema (rivoluzione colorata, sanzioni, invio armi, sabotaggi) poi offre, anzi impone una soluzione costosissima e controproducente, che il problema lo aggrava e ne genera di nuovi.
A questo scempio dell’umano buon senso chi poteva aggiungere un peggio del peggio? Il nostro Supermario naturalmente, che non pago di dichiarare guerra al nostro salvifico partner russo, ha imposto in fretta e furia nuovi rigassificatori in prossimità di centri abitati, come ad es. a Ravenna e Piombino, qui addirittura facendo ormeggiare all’interno del porto una speciale nave rigassificatrice noleggiata a caro prezzo. Questo ricorda il “fate presto” ai tempi del governo Monti, l’altro genio guastatore più piccolo, un Mariuolo per l’appunto rispetto al criminale Draghi. Almeno lui è stato sincero, ha dichiarato chiaro e tondo qual’era stata la sua missione per conto terzi: distruggere la domanda interna. Draghi invece è per la “distruzione creativa”, menzogna per mascherare la distruzione finale, dolosa, dell’intero tessuto economico e produttivo dell’Italia. Ma guarda un po’ la comunione d’intenti di questi governi “tecnici” invocati per “salvare la Patria”! Nel linguaggio orwelliano che capovolge il significato dei termini l’hanno chiamato “il governo dei migliori”, sa va san dir. Nel linguaggio vero i migliori siamo noi, il Popolo sovrano, che però ancora dorme. Vogliamo e possiamo svegliarci dall’incubo per tornare ad essere noi stessi, per quanto difficile potrà esserlo in questa tragica congiuntura planetaria.
Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org