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      • UNA MELONI COERENTE CON LA PROPRIA NULLITÀ

      UNA MELONI COERENTE CON LA PROPRIA NULLITÀ

      Il fatto che colei che nel settembre scorso il settimanale tedesco Stern definiva la “donna più pericolosa d’Europa”, si sia rivelata invece la servetta più prona dell’orbe terracqueo, viene moralisticamente annoverato come un caso di incoerenza. In realtà l’incoerenza non esiste, e ciò che potrebbe apparire come tale, è in effetti solo la diretta conseguenza dell’inconsistenza pratica delle proprie idee politiche. Il nazionalismo, che la Meloni diceva di professare, è una suggestione propagandistica spesso efficace; ma, come categoria politica, il nazionalismo è stato sempre un gran vuoto. La Meloni si dimostra quindi del tutto coerente con la propria nullità.

      Il nazionalismo è uno dei babau preferiti dal politicamente corretto poiché la malvagità dei nazionalisti consente, in base allo schema buono-cattivo, di legittimare indirettamente l’internazionalismo del capitale finanziario. Ma il nazionalismo non esiste sul piano della prassi politica, per cui nell’agire o si è imperialisti o si è antimperialisti; e, se si vuole essere antimperialisti, il primo imperialismo da combattere è il proprio. Le nazioni non esistono in natura, sono a loro volta prodotti artificiosi di un imperialismo, per cui gli Stati nazionali sono il risultato storico di campagne di conquista, quindi di imperialismi interni. L’imperialismo inoltre non è soltanto il rapporto di forze tra una nazione dominante ed una nazione dominata, ma è una strada a due sensi, per cui si vedono le oligarchie locali cercarsi una sponda estera, un “vincolo esterno”, che faccia loro da scudo e da alibi contro la propria popolazione. L’Italia ha perso una guerra mondiale ed è militarmente occupata dagli Stati Uniti, ma occorre anche ricordare che gli oligarchi nostrani erano in cerca di protezione straniera già da molto prima, oscillando tra la sudditanza all’imperialismo britannico a quella nei confronti dell’imperialismo germanico. Poi è arrivata la benvenuta sconfitta bellica a suggellare la compressione delle classi subalterne sotto la cappa della NATO.

      Il potere militare statunitense sull’Italia è sin troppo reale, ma il fanatismo pro NATO degli oligarchi nostrani non è soltanto zelo servile, bensì un pretesto per esercitare un proprio lobbying delle armi. Che la rappresentazione narrativa crei anche vincoli esterni fittizi, è dimostrato dal fatto che la Germania ha un potere contrattuale praticamente nullo nei confronti dell’Italia, poiché un default del debito pubblico italiano affosserebbe automaticamente l’euro. Eppure gli oligarchi nostrani sono riusciti ad inventarsi uno strapotere finanziario tedesco per giustificare le angherie nei confronti dei propri lavoratori e contribuenti. La mitica avarizia tedesca non è altro che una proiezione dell’avarizia dell’oligarchia italiana. Del resto non c’è bisogno di scomodare le tesi di Diogene o di Hegel per capire che il servilismo può diventare una tecnica di condizionamento e di manipolazione nei confronti dei presunti padroni.

      Ogni oligarchia ha un suo specifico percorso di grandeur, di ascesa nelle gerarchie internazionali; e gli oligarchi italici cercano la propria distinzione di rango nella dimostrazione di come riescono a controllare la popolazione, imponendole ogni sorta di umiliazione. Certe esibizioni parossistiche della propria capacità di dominio, spesso pavoneggiandosi di fronte ad esponenti stranieri, indicano l’origine arcaica e rurale dello schema di potere in Italia, ancora basato su un asse analogo a quello tra latifondista e campiere. Tra certe esibizioni di strapotere e certe ostentazioni di servilismo da parte dei nostri oligarchi, non c’è nessuna contraddizione, poiché rientrano entrambe in quello schema di oppressione rurale.

      Va rilevato che in Italia sono avvenute esagerazioni impossibili altrove, come il green pass per accedere al lavoro, l’obbligo vaccinale per un siero non ancora approvato, ed anche le liste di proscrizione dei “putiniani”. In fatto di brutalità in Francia il potere non è mai stato secondo a nessuno, eppure il presidente Macron ha potuto beccarsi uno sberlone da un cittadino senza che se ne facesse una tragedia nazionale. In Italia la sacralità del potere è tale che un episodio del genere sarebbe stato immediatamente catalogato come terrorismo ed avrebbe, come minimo, scatenato una caccia all’uomo per stanare uno per uno i “mandanti morali” dello sberlone. Gli sfrenati deliri vendicativi del potere nostrano rappresentano un ulteriore indizio delle sue matrici rurali, perciò si riconosce lo schema della faida, con quella suscettibilità programmatica dietro cui si nasconde la bramosia latente di regolamento di conti. La matrice arcaica della faida viene però dissimulata e mistificata attraverso verniciature pseudo-moderne, come gli schieramenti ideologici.

      Ogni volta che si parla di mistificazione sociale, l’imbecille professionista grida al complottismo. In realtà la mistificazione sociale è una relazione sociale essa stessa, per cui si entra automaticamente in giochi delle parti e ci si appassiona a false alternative. La finta dicotomia tra fiscofobia della destra e fiscolatria della sedicente sinistra, non trova un riscontro nella realtà. Oggi la Meloni si “contraddice” aumentando le accise sulla benzina, ma, da brava “conservatrice”, sta facendo esattamente ciò che faceva la Thatcher, la quale spostava il peso della tassazione dalle imprese ai consumatori, con le accise. Gli sgravi fiscali sul reddito delle persone fisiche e delle società furono infatti finanziati dalla Thatcher soprattutto tramite l’aumento delle tasse sulla benzina, come a dire che si riscuoteva un balzello dai cittadini per permettergli di arrivare al posto di lavoro. Meno male che c’è il sito web della fondazione Thatcher a fornircene i documenti storici, perché se aspettavi di essere informato dai giornalisti, stavi fresco.

      Molta di quella che si spaccia come critica del capitalismo, è invece adulazione del capitalismo. Chi lamenta che il capitalismo sia fondato sulla “logica del profitto”, dimentica che un certo Marx parlava di caduta tendenziale del saggio di profitto, per cui un capitalismo che si basasse sul profitto industriale non andrebbe molto lontano. Il capitale finanziario è creazione di valore fittizio, per cui quando in Borsa si gonfia il valore delle azioni vuol dire che si è preso da qualche altra parte. Questa è la routine burocratica della cleptocrazia: si spillano soldi al contribuente povero per finanziare le imprese quotate in Borsa.

      Questo capitalismo dipinto sempre come “muscolare” si rivela poi assistito dal denaro pubblico, cioè dipendente dall’elemosina che gli elargiscono i poveri. Sono i poveri a dover cercare di evadere il fisco, mentre i ricchi detengono il privilegio di eluderlo grazie alla mobilità internazionale dei capitali.

      L’attuale governo, come già i precedenti, ha infatti stanziato agevolazioni fiscali per favorire ed incentivare la quotazione azionaria delle piccole e medie imprese. La finanziarizzazione delle piccole e medie imprese, cioè il loro ingresso in Borsa, potrebbe apparire come un’idea geniale; ed in effetti lo è, ma solo per i grandi fondi di investimento, i quali potranno facilmente scalare la proprietà azionaria di quelle imprese e impadronirsene. Il fisco quindi non serve a finanziare istruzione e sanità, bensì a favorire la concentrazione dei capitali.

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