Il Sistema Internazionale si fonda sull’equilibrio. Sembra una banalità ma ci si accorge che non lo è quando si inizia a farsi delle domande sul contenuto stesso dell’affermazione.
L’equilibrio non è mai dato una volta per tutte e, va da sè, va cercato quotidianamente, conciliando gli interessi nazionali con il mantenimento di un ordine che permetta il funzionamento del sistema di cui si è parte. Ogni aggiustamento è frutto o causa di un avvenimento che creerà a sua volta una azione e una reazione, in una catena senza fine, che porta il sistema ad un equilibrio dinamico senza soluzione di continuità.
La prima domanda da porsi è quindi: come si raggiunge questo stato e come lo si mantiene il più a lungo possibile?
A partire dal Trattato di Westfalia del 1648, ogni Stato dispone di una propria sovranità e di un diritto a reclamare la non ingerenza nei propri affari interni. Su queste basi si fonda anche la Carta dell’ONU. La diplomazia ha affiancato la guerra nella ricerca di soluzione delle dispute, ma ciò non toglie che la strada per la ricerca della stabilità per tutti, o almeno per gli attori più rilevanti e i propri Stati satelliti, è continua ed ininterrotta. Nelle Relazioni Internazionali, possiamo individuare almeno due scuole di pensiero; secondo la scuola idealista questo equilibrio ha come obiettivo un orizzonte kantiano, di pace e progresso, e va fondato sulla cooperazione e sullo scambio. Il principio è che Nazioni che derivano il proprio benessere dalla cooperazione più ampia tra loro, abbiano un incentivo a non cercare di minare il sistema o metterlo in discussione. Nella scuola Realista, l’equilibrio si dà tra attori ognuno autorizzato ad usare tutta la forza utilizzabile, in assenza di un decisore di ultima istanza, ed è quindi un mero equilibrio di forza. Gli aspetti rilevanti sono di ordine materiale, come la potenza militare, la posizione geografica, la dimensione demografica ed industriale, ecc. Le Nazioni sono, per questa scuola, in uno stato di continua allerta, pronte a stringere accordi per propiziare la crescita economica, ma capaci di chiudere la mano e stringerla a pugno in caso di dissidi.
Ovviamente non esiste una sola forma di stabilità ed essa può essere temporanea o limitata ad alcune aree geografiche. L’Europa è stata testimone e portatrice di diversi sistemi di alleanze e “partnership” per ottenere l’equilibrio: l’Impero, il “Concerto di potenze”, le “Entènte Cordiale”, le “Sante Alleanze”, il cosìdetto “Appeaseament” le “aree economiche” e le “zollwerein”, i matrimoni dinastici, sino a giungere ai trattati sovranazionali. Quanto deciso in Europa durante i secoli è poi stato applicato alle colonie che le Nazioni avevano nel frattempo creato in tutto il globo.
Ovviamente l’Impero è uno dei due estremi di questa scala di tentativi di cercare un equilibrio tra Stati in lotta tra loro per non essere aggrediti e contemporaneamente in corsa per espandersi (prima territorialmente, oggi commercialmente). Ciò porta continuamente a fasi di attrito e di necessità di accordo (o di conflitto), ma la forma imperiale diminuisce radicalmente i conflitti tra Stati-Aree, riconducendoli alla decisione del giudice ultimo, l’Imperatore, che delibera per il bene del sistema-impero nel suo insieme e così come abbiamo avuto la Pax Romana,siamo transitati anche in una Pax Americana. Ovviamente l’Impero ha un centro di propagazione: Roma, la Germania Carolingia, la Spagna Filippina, l’Islam Ottomano, la Francia Napoleonica, l’Inghilterra Vittoriana, l’America post-guerra fredda, ma alcune province possono ottenere grandi vantaggi, pur senza godere di una “sovranità de facto”. Ad esempio, durante l’intera guerra fredda, l’onere della difesa del continente europeo dalla Russia comunista è stato sulle spalle degli USA, sgravando così i bilanci pubblici europei da costosi acquisti di armamenti. Quei fondi sono stati dirottati altrove e hanno contribuito alla crescita delle società europee.
Sebbene figlie della propria epoca, e con tutti i distinguo del caso, queste forme di Impero hanno garantito la stabilità complessiva del sistema, ma sempre a partire dalla volontà di un egemone. I conflitti tra le parti interne si sono ridotti, fatte salve le “spedizioni punitive” per riportare all’ordine determinate aree in mano a vassalli “revisionisti” e gli scontri si sono spostati alla periferia dell’Impero, dapprima in quelle aree in cui esso non era ancora arrivato (come nell’America post-colombiana) e in seguito nelle zone di interfaccia tra un Impero ed un altro. Possiamo pensare al conflitto in Ucraina in questi termini così come alle guerre per procura durante la guerra fredda. La prima guerra in Iraq da parte degli USA o l’invasione sovietica dell’Ungheria sono invece esempi di “ripristino dell’ordine interno”, anche se il primo dei due casi è stato solo prodromico ad un successivo tentativo di riorganizzazione di tutta l’area mediorientale da parte americana dal 2003 in poi.
Gli Imperi si sono combattuti, ma hanno anche cooperato tra loro, quando la stabilità del sistema complessivo era considerata a rischio, magari a causa di un competitore terzo un pò troppo intraprendente. Pensiamo agli accordi della fine dell’800 tra Russia e Francia per contenere Germania e Austria, o ancora prima tra Russia e Inghilterra per frenare la Francia o quelli franco-inglesi per contenere l’ascesa tedesca o euro-americani per contrastare la Russia sovietica. Le geometrie sono state le più variabili, con il solo intento di mantenere lo Status Quo stabile il più a lungo possibile, e poter continuare ad avvantaggiarsi delle proprie rendite di posizione.
Ma gli equilibri possono rompersi e sfociare in guerra, o possono semplicemente trasformarsi, senza soluzione di continuità dal punto di vista del funzionamento del sistema, ma con alcune rotture che ne determinano il percorso. Nel ’56, l’altolà di Washington a Francia e Inghilterra sulla questione del canale di Suez, mise fine alle velleità di potenza vetero-imperiale delle due nazioni europee, senza uno scontro diretto, ma con una evidente prova di forza da parte dell’Impero nascente, evidentemente non contrastabile.
Se l’Impero è un capo del filo, e dall’altro capo c’è una forma di isolamento autarchico e hobbesiano, in mezzo restano una quasi infinita serie di geometrie disponibili: accordi bilaterali, multilaterali, alleanze militari, unione di Stati, federazioni, gruppi ristretti (G7), gruppi allargati (G20) e via dicendo. Il sistema nato alla fine della guerra, fondato sui principi idealisti wilsoniani che crearono la primigenia “Società delle Nazioni” , è ormai una rete di consessi internazionali in cui le Nazioni, anche le più distanti e diverse tra loro, possono collaborare e discutere, cooperando nel cercare soluzioni in tema di stabilità. Il caso delle sanzioni alla Russia, è emblematico. Nazioni NATO come la Turchia non le hanno votate, così come alcuni membri dell’UE come l’Ungheria, ciò non toglie che la prima abbia fornito all’Ucraina i famosi droni Bayraktar da utilizzarsi contro i russi e la seconda abbia appena votato un pacchetto di 50 mld di Euro di aiuti per Kiev. Il petrolio russo è sanzionato in occidente, ma è acquistabile in Asia, sottoprezzo, anche da Nazioni come l’India che non si sono pronunciate sfavorevolmente durante la votazione di condanna della Russia all’ONU. L’assenza di una chiara maggioranza in seno al Consiglio Generale è frutto della consapevolezza che il sistema si fonda su più di un pilastro e l’opponente (la Russia) non può essere oggetto di una “coalizione dei volenterosi” atta a combatterla, senza far sprofondare il mondo nel caos.
La regionalizzazione crescente degli ultimi lustri è un altro segno che la ricerca della stabilità non passa da una sola ricetta. Andrew Hurrell in “On Global Order”, nella sua analisi delle configurazioni regionali nell’ambito della globalizzazione, afferma però che la contiguità geografica, da sola, non spiega il fenomeno regionalista, sebbene permetta comunque di distinguerlo rispetto ad altre configurazioni “quasi globali”. Ad esempio, NAFTA o il Mercosur agiscono a livello regionale, il gruppo detto BRICS o la UE agiscono a livello globale. Hurrell attribuisce alla presenza di questi attori economici sovranazionali un’azione non solo sempre più orientata in senso geoeconomico ma anche portatrice di nuove normative e regolamentazioni che modificano l’ambiente politico più ampio.
L’attuale sistema produttivo decentralizzato infatti genera decisioni globali nei suoi luoghi centrali negli USA o in EU, ma le sue manifestazioni sono regionali.Il regionalismo viene quindi interpretato da molte nazioni in via di sviluppo come un processo di negoziazione o di integrazione controllata nella più vasta economia globale. Tutte le configurazioni regionaliste vanno infatti interpretate alla luce del sistema internazionale, sebbene i fattori di forza del regionalismo stiano proprio nella debolezza di alcuni fattori sistemici. Il regionalismo può venir percepito come una risposta critica all’attuale politica economica della post-globalizzazione. Esso può rappresentare una strategia che gli Stati possono adottare per massimizzare i propri vantaggi negoziali. Non bisogna poi trascurare le motivazioni legate alle esigenze di sicurezza. Per alcuni l’obiettivo è difendersi dall’aggressione americana nella sua prospettiva globale, per altri è una esigenza di difesa dalle minacce del caos, una cui manifestazione è la presenza di failed states in varie regioni del mondo.
Se quindi un Ordine è comunque necessario, la seconda domanda è: siamo in un momento di chiaro squilibrio del sistema o solo in presenza di una “correzione” di rotta per mantenerlo “in direzione”? Le guerre in Ucraina e Medioriente fanno parte di una “Terza guerra mondiale a pezzi”, foriera di un nuovo sistema internazionale o sono solo aggiustamenti ai margini di sistemi imperiali consolidati? L’egemone attuale è nelle condizioni di reggere il sistema o almeno renderlo ancora appetibile per maggior parte dei suoi attori?
Dopo la fine del dominio bipolare americano-sovietico, finito perchè uno dei due egemoni ha dichiarato forfait, si è passati al “Momento Unipolare”, padre della globalizzazione all’americana e a una parvenza di Impero, sotto la cui ala, però, sono nati due dei suoi principali oppositori, almeno in potenza: l’Unione Europea e la Cina Globale. Il primo nato all’interno dell’Impero, come un consolidamento di paesi subalterni attualmente non in grado di minare l’egemone, il secondo cresciuto ai suoi margini, preda guadagnata all’avversario sovietico di un tempo e ora quasi in marcia per sostituire l’egemone.
Gli attori degni di nota, o quelle che un tempo avremmo chiamato “Grandi Potenze” e oggi, in un sistema imperiale, definiamo come potenze regionali, si sono moltiplicati: all’Europa ed alla Cina, si affiancano la rediviva Russia, l’enorme India, lo strategico Iran, la ricca Arabia Saudita con la sua corte di petromonarchie, l’immenso Brasile e il lontano Sudafrica (oggi più vicino per via della chiusura dello stretto di Bab al-Mandeb).
Il sistema imperiale americano ha funzionato, i suoi membri un tempo più poveri si sono arricchiti ed oggi chiedono rappresentanza decisionale:
l’Impero ha generato la sua nemesi, nel tentativo di mantenersi stabile e l’egemone oggi si ritrova alle prese con vassalli inquieti, alcuni di essi consci che le opportunità di ricchezza futura stanno sempre più materializzandosi nel campo opposto a quello dell’imperatore.
Il rapporto fra USA ed Europa durante gli ultimi 80 anni è stato egemonizzato dagli Stati Uniti sebbene a partire dalla nascita della Comunità Economica Europea e in seguito all’introduzione dell’Euro il rapporto fra le due aree sia andato progressivamente bilanciandosi. La loro comune intesa militare si esplicita nella NATO ed in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU possono contare su tre voti su cinque. Sebbene l’Europa possa dirsi stabilmente, nel suo complesso, completamente nella sfera di influenza degli Stati Uniti, la crescente influenza finanziaria e commerciale della Cina possono rappresentare un pericolo per Washington. In Germania, poi, il sentimento verso la Russia, e il rapporto che si dovrebbe mantenere con essa, è controverso. I rapporti commerciali di diverse nazioni europee con la Russia sono stati stretti in passato e le recenti sanzioni imposte dagli Stati Uniti per i fatti d’Ucraina hanno colpito duramente l’economia di molti Stati, in maggior misura proprio della Germania oltre che dell’Italia. Non necessariamente le politiche dell’egemone soddisfano tutti i partner regionali.
D’altro canto i BRICS crescono di altre 5 nazioni (Etiopia, Arabia, Iran, Egitto ed EAU), tutte esterne alla cerchia occidentale ma ancora parte del sistema finanziario ed industriale che sottende ad essa e ancora non è chiaro se questo consesso si prepari a ricevere il colpo causato dalla caduta dell’egemone imperiale, attutendone la caduta, o ne sarà il carnefice.
Il campo opposto quindi per ora non c’è, semmai come da ragazzini ai giardini, ci sono solo delle borse per segnare le porte e anche se si gioca, l’impressione che qualcuno possa portarsi via il pallone da un momento all’altro è palpabile. Tradotto significa che Cina, India e la maggioranza del “Sud Globale” sono ancora incatenate alla moneta dell’egemone e devono giocare secondo le sue regole, pena l’esclusione patita da Mosca, Teheran, l’Avana, Tripoli o Damasco. Mosca è già fuori dalle grazie imperiali almeno a partire dalla morte di Yeltsin ma non è possibile estrometterla dal sistema come un paria qualsiasi. Pechino è dipendente dall’economia americana, che determina la sua stabilità politica interna ed è parte integrante del sistema in vigore nell’Impero. Tutti gli altri aspettano le mosse di Pechino e di Washington per schierarsi al fine di partecipare alle scelte del futuro. Stare con washington è vitale ora, scegliere Pechino potrebbe essere esiziale domani.
In definitiva, anche se gli USA non si possono definire un Impero “classico”, poichè non hanno colonie fisiche, è vero però che il sistema americano crea colonie commerciali, culturali e politiche, genera un sistema sovraterritoriale fatto di norme comuni e garantisce beni collettivi come la sicurezza dei trasporti (prova ne è la recente operazione in Yemen) e sistemi economici regolamentati per cui, secondo la teoria della stabilità egemonica essi possono essere ritenuti un entità imperiale.
L’egemone è e resta tale, avendo il controllo del sistema finanziario globale, potendo agire sul destino economico e industriale dei suoi competitori ed alleati, ha ancora forti capacità di proiezione militare, almeno nei teatri regionali, controlla o influenza risolutamente le decisioni nei principali consessi internazionali. E’ probabile che sino a che Pechino non sceglierà risolutamente la via del revisionismo, le crepe già presenti non si mostreranno in tutta la loro gravità; crepe come l’elevatissimo debito pubblico e privato, la sovraestensione militare su tutti gli scenari caldi mondiali o la sotto-industrializzazione nei confronti dei principali competitori.
In conclusione, così come nessun sovrano è mai stato lieto di abdicare, e quando lo ha fatto è stato per mantenere una continuità all’interno di un sistema che poteva rischiare di cadere in altre mani, anche a Washington potrebbe toccare di dover scegliere un’uscita decorosa dall’onere imperiale, almeno nei termini di quella inglese (l’Impero è terminato senza sconfitte militari e si è mantenuto in forma di CommonWealth). Oppure cedere una certa quota di orgoglio e accettare un ordine multipolare più paritario, rinunciando agli onori ma anche agli oneri che il ruolo imperiale porta con sè.
Semmai il problema è chi individuare come struttura del nuovo sistema e se ce ne siano davvero in giro; Il G7, nocciolo dell’Impero, da club delle nazioni creditrici si è trasformato nel circolo di quelle più indebitate. Il G20 è un ottimo spazio di consultazione, ma non ha alcun potere decisionale, l’ONU mantiene in equilibrio le parti ma non sta facilitando in alcun modo il dialogo tra di loro.
Trump che potrebbe essere il prossimo presidente americano, è un Realista ed ha già delineato la sua linea di politica estera in più occasioni. Riguardo all’Ucraina si è detto capace di chiudere la guerra in 48 ore. Putin , nella sua intervista con Tucker Carlson,si è detto disponibile a sedersi a un tavolo, se le condizioni ci sono. E’ probabile che, dopo essersi accordati su come terminare una guerra, le due superpotenze possano tornare a parlarsi apertamente; secondo la scuola Realista, è infatti più probabile che la valutazione delle condizioni materiali della propria e delle altre Nazioni porti i leader ad un accordo, anzichè a uno scontro che potrebbe diventare molto duro.
Yalta, Vienna e Versailles sono state sedi di accordi di pace famosi, ma solo dopo eccidi tragici come Stalingrado,la Beresina e Verdun.
Il parto di un nuovo mondo pare non potersi proprio esimere da doglie dolorosissime.