La parola d’ordine della cultura predominante oggi, in occidente, è “inclusività”. Dietro questo termine, apparentemente positivo ed indice di progresso dell’umanità (progresso non meglio definito, vista l’assenza dell’obiettivo ideale da raggiungere), si nasconde, in realtà, il proposito di creare una società di vittime e priva di discernimento.
Partendo dal secondo aspetto, scardinare il concetto che categorie che a un occhio obiettivo risultano fuori dallo spettro del comportamento normale (o quantomeno potrebbero farne scaturire il dubbio, come chi si identifica in animali, alieni e altre creature o chi sostiene che esistano infiniti sessi) debbano obbligatoriamente essere accettati e integrati nella società in quanto minoranze, a prescindere dalla natura del loro stato di minoranza, fa sorgere la lecita domanda: su quale criterio ordinante della società si fonda l’inclusione o la non inclusione delle suddette o altre minoranze? Ciò che deve essere incluso o escluso da una società è determinato in base ai valori etico-filosoci e politici che ordinano quella determinata società, ossia, alla base dell’accettazione o del rifiuto di qualche categoria c’è sempre la facoltà di discernimento.
Quello che l’inclusione a tutti i costi vuole attaccare e compromettere è, a prescindere dall’oggetto in questione, la capacità di discernimento in sé. Facendo leva sul senso di colpa di chi esclude, la cultura dell’inclusione avvia un meccanismo politico e una mentalità insensibile e passiva nei confronti di qualsiasi innovazione imposta dalle élite in nome dell’inclusività, fosse anche la più aberrante. Molto lontana da ciò che vuole sembrare, la società inclusiva è la fase finale della politica di massa, nella quale sotto la bandiera dell’accettazione, le élite decidono e le masse devono solo essere passive e inclusive.
La seconda conseguenza dell’inclusività a oltranza è la creazione dell’ideal-tipo umano di vittima e, se esiste una vittima, esiste anche il salvatore della vittima. Il salvatore della vittima è, ovviamente, colui che ha creato tale categoria: il potere (in senso lato). In tal modo si instilla nelle persone, sin dall’infanzia, un approccio all’esistenza (potenzialmente colma di disgrazie) debole, irresponsabile, adolescenziale e, in conseguenza di ciò, volto all’odio e alla violenza distruttiva. La consapevolezza di essere vittime provoca un eterno senso di impotenza nella persona o nella categoria “oppressa”; l’adorazione della vittima provoca, nella società, invidia, disprezzo e ripudio di chi, non sentendosi vittima, si rivolta al “carnefice” (come i palestinesi del 7 ottobre), cessando quindi di essere vittima.
L’esistenza non è inclusiva, può essere spietata, come spietato è il potere che ci governa e occorrerebbe insegnare che ciò che si vuole conquistare lo si deve conquistare senza fare leva sulla compassione e sulla pena della società e del potere stesso ma solo sulla giustezza delle proprie rivendicazioni.
Facciamo l’esempio del femminismo attuale, che come argomento, in certi ambienti, va per la maggiore. La donna viene dipinta dalle cosiddette femministe come eterna vittima della società borghese e patriarcale (che non esiste più), e, non si capisce in base a quale logica, dovrebbe essere aiutata a emergere. Non si capisce la logica perché se la donna è capace quanto l’uomo nel fare ciò che il sesso maschile fa (cosa che la scrivente sostiene fermamente), perché mai dovrebbe essere aiutata da una società (ormai scevra di limiti e discrimanozioni politico-legali nei suoi confronti) a farlo?
Altra coseguenza che la società vittimistica crea è l’irresponsabilità e la conservazione della popolazione in uno stato infantile, alla ricerca di qualcuno con cui prendersela, incapace di sopportazione delle sofferenze e di autodisciplina, dunque comprabile, ricattabile e addomesticabile: basta farla soffrire un po’, e si offrirà autonomamente di servire il potere (ricordarsi del Green pass, non fa mai male).Non a caso sono state progressivamente cancellate le radici greche della nostra civiltà e non a caso è stato ampiamente distorto il concetto cristiano della Croce e della Passione.
Così come sono stati posti in ridicolo Uomini che hanno scelto spontaneamente la via della sofferenza materiale per un ideale, come Che Guevara, che mai vorrebbe (presumo) essere dipinto come povero oppresso necessitante di essere accolto e rispettato, ma come Guerrillero Heroico. Dietro l’inclusione c’è il disarmo finale dell’animo umano e della dialettica del pensiero. La società arcobaleno è la tomba dell’Umanità e delle sue potenzialita di emancipazione spirituale e materiale.