Più passa il tempo storico, oramai scandito da malsani scoppi di follia invece che da avvenimenti politici rigorosamente esaminati e classificati, e più pare d’essere precipitati agli estremi fotogrammi di una dittatura africana del dopoguerra. Pochi ricordano Amin Dada e Bokassa, i garzoni messi su dall’Europa per sfruttare quelle lande sradicate al loro tran tran neolitico. Li si chiamava dittatori; erano, invece, lo specchio deformante di un’Europa che si stava liberando da sé stessa. In quanto déracinées, e pertanto privi dei tradizionali ammortizzatori psicologici, i Bokassa solitamente erompevano in orge megalomani d’iperbolico sadismo kitsch; ove la leggenda, s’attenuava, forse, più casta della realtà: oppositori gettati in pozze lutulente ove diguazzavano coccodrilli antidiluviani, troni esornati da centinaia di migliaia di perle, ministri assassinati in pieno consiglio per escinderne ghiotte cervella, amanti depezzate, ceste di diamanti, unzioni messianiche, petti onusti da figliolanze di medaglie da pitocco.
Questi golem morirono quasi tutti nel proprio letto perché gli Europei, che ne hanno viste tante, li trattarono, alla fin fine, da figliuoli scavezzacollo. L’ansia da esecuzione sarà propria dei trogloditi yankee, da Gheddafi a Saddam al povero nefropatico rintanato nelle gole afgane.
Sono tempi d’infimo impero, tempi ultimi per questa nazione rabberciata, l’America, ormai a fine missione. A riguardare il postremo Bokassa della Pennsylvania, Joe Biden, sembra di assistere alla finis terrae della razionalità; discorsi sconnessi o da spacconi, gaffe istituzionali, ciangottamenti, vane gesticolazioni nel vuoto; soprattutto un’istintiva e feroce disistima per la delicata impalcatura democratica: a differenza dei predecessori che, almeno, fingevano uno scontro ed erano costretti a vellicare grossolanamente le pulsioni più elementari dell’elettorato di riferimento (tasse, comunismo, eccezionalismo americano).
Tale spettacolo da Barnum, che si ripercuote vertiginosamente giù per li rami istituzionali, dal transmarinaretto alla polimorfa compagine clitoridea che gli si struscia d’attorno, ci ammonisce variamente.
La prima cosa che salta all’occhio è che l’America ha esaurito il proprio ruolo, e non per sua scelta. La seconda, evidente, ma ancora ignota al miccus suffragans, è che la democrazia, nella sedicente culla democratica, non esiste più, nemmeno nella finzione scenica: percentuali, sondaggi, conteggi e riconteggi non hanno rilevanza; siamo alla pura pantomima. Il prescelto si insedia direttamente; la manfrina dei gagliardetti, delle convention, dei manichini televisivi, liberali o conservatori, repubblicani e democratici, elefante e asino, blu e rosso, viene mantenuta solo per non allarmare troppo il residuo corpo elettorale: mera questioncella di ordine pubblico. E chi è il prescelto? Un Bokassa qualunque, un prestanome; un subdominante cui si concede tutto, dalla repressione interna alle sanguinose minacce internazionali, poiché il voto, nella sua essenza contabile, più non serve: la manipolazione a posteriori fornirà l’innegabile sostanza (c’è poco da fare, ha vinto!), sancita, poi, dalle vacue e sbrigative formalità costituzionali. Anche governatori, sindaci metropolitani e amministratori locali, la flebile epifania della libera scelta democratica, paiono usciti da una sit-com farsesca; come quel senatore della Pennsylvania (ancora!), uno capace di accendere lampadine con la bocca, forse uscito dai provini de Le colline hanno gli occhi; l’irruzione delle minoranze, poi, gravide delle rivendicazioni più sciocche, ha donato quel tocco di delirante anarchia a tutto il caravanserraglio: perché, ricordiamolo, le apocalissi dei cretini richiamano irresistibili il tono grottesco.
No, il Potere non s’identifica più con l’America e il mondo che gli fu soggetto; essa non regge il suo ruolo, secolare, di pupazzo da ventriloquo. Si cambia, è davvero tempo di olocausto globale, l’ultimo possibile, privo di ritorno. La metastasi è troppo avanzata e corrode persino l’immaginario. Solo il ridicolo servilismo italiano è fermo ancora ai tempi di Kansas City e dell’americano a Roma Nando Mericoni. In cambio di tale filoatlantismo fuori moda, però, l’Italia non riceve prebende, ma, anzi, s’ammala. Basti vedere come alcune nostre città d’arte, ancora splendide sin a cinquant’anni fa, si siano tramutate in pattumiere antropologiche e urbane rassomigliando, gradatamente, ai suburbi più lerci e psicopatici delle big city yankee, formicolanti di un demente sottoproletariato digitale: squatterschlein, pensionati più pulciosi dei loro sacchi di pulci, drogati, zingari stipati in caravan dalle gomme sgonfie, inabili, deformi, pazzi, obesi in canottiera, vecchi che strascinano sporte di plastica appesantite da junk food; i caseggiati popolari lordati dagli spray, le ringhiere divelte, si aprono su prati fulminati da piscia e merda di cane, gli angoli dei cortili spessi per i rifiuti di anni: carte da gelato, plateau da discount, cartoni di surgelati alla plastilina, ma da saltare gustosamente in padella, preservativi rinsecchiti.
La geopolitica mi dice poco. Il Potere, direbbe uno dei ventiquattro filosofi, ha il centro in nessun luogo e un raggio invisibile che individua circonferenze altrettanto occulte. Il Potere postmoderno è una sorgente di cellule tumorali. Si muove, nel tempo, disseccando culture, paesi e popoli. Lo si ritrova, sempre, i segni inequivocabili della rinuncia e della sterilità. Sintomi, diagnosi. Un Diagnosta, ecco cosa serve; e un Chirurgo per l’estirpazione. A naso, dico, a naso, dopo avermi letto, dovreste sapere chi seguire e le aree da recidere. Dovete farlo voi, però, rimettendoci la salute e la tasca.
ITALIA, OPEN TO MERAVIGLIA. Così la frase pubblicitaria dei manifesti governativi. In essi una signorina, la rivisitazione della Venere di Sandro Botticelli (mangia un trancio di pizza, va in bicicletta, è seduta su una scogliera), dovrebbe invogliare a visitare l’Italia et cetera et cetera “Du gust is megl che uan”, così la pubblicità del Maxibon Motta (1995) in cui un giovine Stefano Accorsi cercava di rimorchiare due turiste, credute straniere, leccando allusivamente il dolciume in oggetto. La ministressa Daniela Santanché, evidentemente, con tutto il caravanserraglio ministeriale, subisce ancora il fascino paninaro di quegli anni memorabili (per lei). Nel paese di Pietro Toesca e Mario Praz, tutto ciò che l’apparato milionario della sedicente repubblica è stato in grado di creare è un anacoluto linguistico, supposto addirittura di brillante forza persuasiva; e la cartoonizzazione di un capolavoro rinascimentale. Del livello non voglio nemmeno parlare. La vera domanda, che presagisce una risposta spaventevole, è, però, un’altra. Questa: esiste un Italiano, nelle istituzioni suddette, che li fermi? Intendo: che faccia notare, con galante understatement, che tale modo di proporsi al mondo è umiliante? Ma forse mi sbaglio. Questa la vera domanda: esiste un Italiano, di stampo forte, che abbia ancora un ricordo di ciò che fummo?
Mi piace questo passato remoto: fummo. Avrei potuto scrivere “siamo stati” e invece … Una volta un uomo di lettere, per così dire, tal Christian Raimo, scrisse: “Più leggo Moravia più mi fa schifo” allegando, a rafforzare il giudizio, quello di Ermanno Cavazzoni, che, fra le altre mancanze, gli rimproverava l’uso sistematico del passato remoto. Raimo, professore, scrittore, opinionista, giornalista, fu nominato, e ciò gli dona uno spessore inconsueto rispetto al sottoscritto, assessore al III Municipio di Roma; e vanta pure una pagina personale di wikipedia che, come saprete, è riservata solo ai Maggiori. Nel tempo, purtroppo, a onta dei 52.000 followers su facebook, la gloria letteraria gli venne usurpata dalla sorella Veronica (finalista allo Strega, se la memoria non inganna). Cavazzoni, dal canto suo, mi è simpatico sol perché scrisse una Storia naturale dei giganti, libercolino sulle creature immani che si rinvengono nella letteratura cavalleresca. Moravia? Fu – dico: fu – un rilevante narratore novecentesco di cui ammiro la tracotante monotonia nichilista, specchio della propria anima perduta e senza scampo; a differenza di Gadda, atrabiliare maestro di stile; e di Luigi Pirandello, l’intellettuale definitivo del Novecento italiano. Ah, quanto vorrei non aver letto le sue novelle per poterle rileggere ex novo …
Ma torniamo alla mia innocua geopolitica da studiolo.
Il progressivo declino dell’impero americano, debitamente controllato, si porterà via la patina più gioviale e ottimistica dei miti dell’Illuminismo Nero: il limite del progresso continuamente spostato in avanti, sino al paradiso per tutti, correlativo oggettivo del mito della frontiera. Pari opportunità di carriera, self made men, libertà di movimento, la conquista dello spazio, l’infinita prateria della vita dinanzi a noi … Il Potere si è reso ben conto dell’insostenibilità di tale mitologia; per questo, sotto le false spoglie di un rinnovamento, l’ha progressivamente dismessa sin dagli anni Sessanta. Gli hippies contro la famigliola borghese in Cadillac, le università quale fucina della dissacrazione della homeland, Piccolo grande uomo contro Ombre rosse, il femminismo da suffragette isteriche contro Jean Harlow, Shaft contro Marlowe, Manson vs Tate, lisergico contro razionale, introspezione dei riti orientali contro the black Bible degli white man. Parodizzata, colpevolizzata, umiliata, la cultura bianca americana ha ceduto lentamente il passo a un’umanità fradicia, ritorta su sé stessa, minuscola, meticcia, d’arrogante meschinità vittimista: un impasto perfetto per far circolare il nuovo Verbo del Dominio: la frontiera non è fuori di voi, ma siete voi. Di qui l’immaginario fluido che avvolge l’intero Occidente: perché escogitare fruste per i milioni quando i milioni possono rendersi inoffensivi da sé? L’Illuminismo Nero cambia obiettivo: non più i mari, i tropici, le stelle … qui si è fallito! Sarà l’uomo stesso la terra da dominare, un armento hackerabile cui previamente estirpare il passato, ovvero quell’intrico mirabile che dirige passi, sentimenti e danze … ciò che qualcuno definì “idee senza parole”.
Questa tras-valutazione è la diretta evoluzione, intesa come puro spiegamento logico-storico, della liberazione. Gli uomini liberati – liberati dal peso della tradizione cristiana e classica … via le catene, le greppie, i lacci … in fondo cosa vuol significare la nuova economia liberata, il capitalismo, lo scisma anglicano, l’incendio di Londinium nel 1666: tabula rasa, ripartire, come Prometeo in rivolta permanente verso gli dei … guardare a terra, solo a terra, privi di freni … liberi dalle costrizioni ormai maledette, riguardate come impostura; non c’è più un Dio sopra di noi! La norma morale è dentro di noi! La perfezione dev’essere sbozzata entro l’anima! La luce ci guidi, dopo le tenebre! L’uomo è modello di sé medesimo, anzi Dio stesso è modellato a nostra somiglianza! Lucifero, vieni! Lucifer, rise!
Non dobbiamo sottovalutare queste parole, ma saggiarle accortamente. Come sempre, gli innovatori radicali si fanno forza di ciò che distruggono. Id est: l’energia di cui dispongono rispetto al passato e la loro incoercibile volontà rivoluzionaria viene sprigionata unicamente proprio da ciò che hanno distrutto … qui il primo inganno. Fu uno scarto epocale che illuse l’umanità circa una nuova umanità … questa, redenta e affrancata dal divino e dall’ingerenza della tradizione sembrava, perciò, inarrestabile, la chioma indomita fluttuante in una cavalcata selvaggia, invincibile. Verso Giove e l’infinito, dichiarò uno dei tanti profeti al chilo – non avvedendosi che qui si celava la disillusione più totale. I primi tempi furono straordinari, pur a prezzo di genocidi immani. Il mondo anglosassone e protestante, sbarazzatosi di ciò che considerava ciarpame, s’aggirò per la terra con una fame insaziabile; gli homines novi presero a credersi i migliori sol perché più efficaci; e oggettivarono questo loro fallace sentimento creando una letteratura agile e popolare (romanzo e giornalismo), un’arte borghese e didattica, un’etica economica, addirittura novelle utopie! Le loro nervature ideologiche, trionfanti, arrivarono a stringere la Terra in una serie di cappiole: le rotte commerciali, inesauste, dall’Oriente al Nuovo Mondo, ne furono le figurazioni formidabili. La storia accelerò vorticosa, balzando aggressiva come la tigre di William Blake. La tecnica, soprattutto, prometteva l’Eden. La pace durante la Belle Époque, le industrie inesauste, i magnifici ritrovati, le mirabili macchine: radio grammofono cinema … con Semmelweis si cominciò a credere di sconfiggere persino la morte … si armarono le moltitudini … Noi, i liberi! E i felici! Ma i felici, incapaci di conservare, reclamavano nuova energia per andare avanti; si programmarono ulteriori distruzioni; mezzo secolo di guerre fratricide per prolungare l’inganno. Arrivarono anche a noi, definitivi, i liberatori. A liberarci dal fardello del passato. Ciò che residuava dell’Europa fu servita al banchetto cannibalesco dell’utopia. La tigre, sfamata, riprese vigore compiendo un ennesimo prodigioso balzo dalle ceneri della devastazione … l’orizzonte del dopoguerra si aprì più slargato e ricco di promesse: lo spazio, la piena occupazione, la pace perpetua, l’immortalità a portata di mano, il dolce totalitarismo della democrazia … da esportare surrettiziamente, o da ingerire in capsule da bombardieri … stavolta, però, l’illusione durò ancor meno di prima. La pozione, come insegna Jekyll, si fa meno efficace di volta in volta … la Bestia è di nuovo stanca e affamata e reclama ancora prede! Cosa possono inventarsi i saltimbanchi del sol dell’avvenire da sacrificare ancora? Soprattutto: cosa resta da sacrificare per tenere in piedi la farsa? L’uomo stesso! E sia … l’utopia tenebrosa dell’Illuminismo, lordato l’intero globo, snidato l’ultimo ragno agli angoli, arriva finalmente a divorare sé stessa, come il serpente alchemico Ouroboros: l’inevitabile. Ma sì, basta orizzonti, c’è da annientare l’anima. E con quale scusa ripieghiamo di fronte ai miliardi? Semplice, inventiamoci i limiti dello sviluppo!
Capite ora la parabola folle del progresso. In suo nome, in nemmeno trecento anni, liberali e liberisti, socialisti e comunisti, dirigisti statolatri o fanatici del laissez faire, illuminati e ottenebrati, anticlericali e madamine colla tonaca, qualsiasi tonaca, hanno dissolto le fondamenta metafisiche della civiltà occidentale. Fino a costringersi a tale suicidio controllato. Le mani e i cuori che mossero i fili dello sviluppo senza freni, i piani quinquennali, il dominio sulla natura, il libero arbitrio dei flussi monetari, sono gli stessi che ora reclamano pace, diritti ed ecologia; fermiamo la corsa, i panda sono in pericolo! A questo servirono ONU, UNICEF, NATO, UNESCO, FAO … a frenare la locomotiva … ché i fuochisti sono in sciopero, e ci si divora l’un l’altro nelle carrozze ristorante … Potrà sembrare controintuitivo, ma il Giano progressista ha sempre ospitato sotto lo stesso tetto Hiroshima, Imagine, cosacchi e G.I. Joe, il talidomide e Greta Thunberg … Che Greta non sappia che la pigione gli è pagata dallo stesso locatore del proprio vicino di casa, magari un magnate del carbone, è normale … solo chi si pone estraneo al gioco, l’Esiliato, può rilevare la paradossale autodistruttività dei tempi ultimi.
Non dobbiamo, certo, immaginare maggioranze … per tali operazioni bastarono quinte colonne imbeccate da qualche paradiso della dissoluzione: Olanda, Svizzera … sempre le stesse, poi, basti leggere chi nel 1875 complottava, tra Odessa, Charkiv, Cherson e Kiev, la morte di Alessandro II … per questo dire: “Russia” o “Italia” in tali casi significa nulla; occorre definire le linee di tendenze secolari che alimentano concettualmente gl’infiltrati e rendono comprensibili i cialtroni, i ciarlatani, gl’ipocriti e i voltagabbana; in sostanza, i traditori d’ogni tempo …
Il contrordine arrivò, come detto, nei Sessanta. Al progresso si mutò direzione, al netto dei dominanti che, invece, dovevano restare gli stessi. Da noi, periferia dell’Impero, la risposta al grido di dolore del Potere arrivò un pocolino tardi, così come il segnale di Armstrong, Collins e Aldrin a Houston dalle supposte lontananze siderali (1,3 secondi + 1,3 secondi = 2,6 secondi). Sarà solo nel 1977, infatti, che l’ex jazzista Piero Angela, torinese, di complessione moderata, rassicurante cantore delle sorti progressive, avrà a licenziare l’accorato libercolino Nel buio degli anni luce; in perfetta consonanza, peraltro, con quello del professor Roberto Vacca, di sei anni prima, Il Medioevo prossimo venturo, in cui il ruvido e aitante futurologo, allure da Vittorio Gassman, presagisce il crollo dei sistemi complessi: con relative apocalissi demografiche, urbane e tecnologiche. Diverse psicologie, eguali preoccupazioni e identiche scuole (Club di Roma). E simili boom di vendite, ça va sans dire.
Vacca apre le danze: “Mentre scrivo mancano trent’anni al compimento del secondo millennio della nostra era e, per ragion diverse da quelle di mille anni fa, molti si attendono a breve scadenza una tragica catastrofe totale. I profeti di oggi non dicono che dobbiamo temere angeli, draghi e abissi, ma che dobbiamo temere l’olocausto nucleare, la sovrappopolazione, l’inquinamento e il disastro ecologico … Il medioevo coinciderà … con una situazione in cui … si dimezzerà la popolazione dei paese più avanzati … se muoiono 450 milioni di uomini nei paesi più sviluppati, si fermano: il progresso delle scienze, la ricerca tecnologica, le grandi costruzioni civili, le produzioni industriali di grande serie e a bassi costi, il funzionamento dell’intera struttura organizzativa e direttiva della società moderna”.
Se tu suoni la tromba, io sonerò le mie campane, pare rispondere Angela in quarta di copertina: “L’Italia si avvia al declino e alla povertà se non trova il modo di riconvertirsi rapidamente … Gli attuali modelli (tecnologici, industriali, energetici, culturali) sono ormai inefficienti nel creare nuove ricchezze … Piero Angela esplora i meccanismi che si sono inceppati e raccoglie idee, proposte, nuove strategie …”. E da chi li raccoglie? Dagli stessi che hanno inceppato il meccanismo, ovvio. Poi, senza perdere l’aplomb, s’imposta sul grave: “Generazioni di scienziati e di tecnici hanno scoperto e inventato innumerevoli strumenti per procurarci un benessere senza precedenti, eppure mai come oggi, nella storia dell’umanità, si è parlato di crisi catastrofiche”.
Mai nella storia dell’umanità. Capite? Abbiamo una Ferrari, ma i piloti ci mandano a fratte. Quando si dice la jella. E perché il progresso non progredisce? Perché non è abbastanza progressista. Il fallimento che Angela intravede, devastante, mai visto, non è colpa della tecnica e della scienza, beninteso, ma degli uomini. E alcuni uomini, gli Italiani, per dirne una, sono più colpevoli degli altri: “È infatti importante che soprattutto i giovani possano inserire nella loro formazione umanistica questa componente essenziale [le gravi difficoltà dello sviluppo] senza la quale sarebbero privati della capacità di capire il loro tempo. Cultura classica e cultura scientifica devono oggi fondersi in ogni individuo per creare quella visione binoculare che, sola, permette di dare rilievo e profondità agli avvenimenti”.
Meno latino e più economia, meno storia dell’arte e più cacciaviti. Ovviamente Angela cita il “Club di Roma” per cui esiste “una minaccia contro l’umanità, una minaccia oggi [1977] a malapena avvertibile, ma che potrebbe assumere una gravità equivalente a quella di una guerra nucleare”.
Le prime tre righe del libro, peraltro, si aprono con una dichiarazione di Dennis Meadows, autore proprio de I limiti dello sviluppo, con un’altra mazzata all’Italia, questo paese di irriducibili coglioni che non sta a sentire la voce della sapienza: “Penso che diversi paesi europei privi di risorse naturali, tra i quali l’Italia, si avviino al declino e alla povertà se non hanno la capacità di riconvertirsi rapidamente”.
Insomma, reitera Angela, come il disco di certe bambole anni Quaranta: “[occorre] capire quali sono i meccanismi che regolano oggi la crescita nei paesi industrializzati. Capire anche dove si possono inceppare questi meccanismi … e vedere quindi come si può correggere l’attuale traiettoria di progresso che rischia di lasciarci al buio in quelli che dovevano essere gli anni della luce”. Quindi passa a illustrare la curva a “S” che lo angustia particolarmente cioè quella curva che è prima cresciuta quasi con forza esponenziale (e fin qui, per lui, tutto bene) e che, poi, dato che l’umanità, in fondo, è un sistema chiuso e limitato, decresce e si appiattisce (proprio sul più bello!) sin a declinare.
L’illuminista nero Piero Angela, dismesso il camice lindo e ottimista del dottor Kildare, indossa il saio nero della decrescita sfiatando nelle trombe di Gerico: noi occidentali siamo troppo distruttivi, occorre la tecnologia, occorre la scienza … che non ha fallito, per carità, guardate che Bengodi abbiamo … sono gli uomini ad averlo fatto … questi mascalzoncelli … la scienza e la tecnica, infatti, sono neutre … è il dito che pigia il bottone sull’Enola Gay … quello il problema …
A riassumere: anche da noi, nei Settanta, arrivò un controcazzo epocale. Per tacere del mondo intero: in cui ebbero a dilagare film catastrofisti (Il pianeta delle scimmie, ma anche gli innocui Inferno di cristallo e Airport), le distopie più allucinanti (2022. I sopravvissuti, Occhi bianchi sul pianeta Terra) e una letteratura varia e insinuante che ebbe persino un nome: doomwriting; anche l’horror iniziò a vivere una stagione folgorante, che dura ancor oggi, rilasciando nell’aria terrori impalpabili e sensi di colpa generazionali (Non aprite quella porta o Zombi, con quei morti-in-vita eliotiani che bramano l’ipermercato). In generale il progresso ora viene messo in luce totalmente negativa: si vuole disabituare lentamente l’essere umano al futuro. Poi, ragionano gli Übermenschen dal Superattico, gli si toglierà anche il passato. E finalmente, con l’omarino del 2030, avremo via libera una volta per tutte.
Si dirà: ma quale entità ha il potere di coordinare un’operazione psicologica di così vasta portata? Ma non c’è mica bisogno di controllare tutto … è solo necessaria la creazione d’uno Spirito dei Tempi, questa sì decisiva … un po’ come fa la coppia di fatto Marx-Engels con lo spettro comunardo sull’Europa … incipit, non a caso, da romanzo gotico … lo Spirito dei Tempi si origina con poche opere cinematografiche, teatrali e musicali minuziosamente mirate, e di largo impatto popolare … assoldando oculatamente giornalisti e intellettuali e accademici di chiara fama. In tale bolla venefica ogni azione o pensiero, anche i più innocenti, puri e indipendenti tenderanno nella direzione voluta … evocare lo Spirito dei Tempi equivale, infatti, ad annettere persino il dissenso … quello falso e, suo malgrado, anche quello genuino; il resto lo fa l’ansia di conformismo, la puttana dell’istinto di sopravvivenza, come nel caso del Covid19 quando insulsi cittadini si trasformarono in sicofanti pur di compiacere l’apparato mediatico. A esempio: da quando si cicala di gender equality e consimili castronerie, anche le pubblicità di detergenti e detersivi sono cambiate. Prima spazzolone e ferro da stiro erano in mano a una piacente casalinga media, ora agli omarini maschi. Un coglione si struscia sul pavimento lindo e pinto, ah che frescura! E la figlioletta sgambetta felice assieme al mammo; un altro branca il novello liquido per lavatrice e il figlio (maschio) approva … non c’è mica bisogno che il Grande Vecchio Massone controlli le quisquilie delle multinazionali del pulito, dal Perù a Pizzighettone … occorre evocare lo Spettro adeguato e questi si aggirerà per l’Europa, o l’Asia, o l’America quale Matrice Universale cui la mente d’ogni propagandista, anche il più idiota e scalcagnato, adeguerà, vaselineggiando, il proprio beneplacito.
I secoli superbi e sciocchi hanno prodotto un dominio sterile sulle rovine di ciò che siamo stati, per decine di millenni. Come si vorrebbe distruggere ora? Cosa è rimasto da distruggere a tali insaziabili condottieri del nichilismo? Siamo alla negazione pervicace, totalitaria, di tutto, alla libidine da tabula rasa. Le guerre in Mesopotamia e Afghanistan hanno distrutto le ultime trincee … non resta che sacrificare, per conservare il dominio, l’umanità stessa. Di qui il nuovo trans-umanesimo.
Otto miliardi per il tritacarne apocalittico.
Tanto da chiederci, anche qui controintuitivamente, cosa lega l’apparente liquidazione dell’ordine occidentale a guida illuminista in favore di un altrettanto apparente riequilibrio geopolitico. Per dirla in termini cabarettistici: quale il trait d’union tra la faccia da imbecille di Biden, i disastri della ginecopolitica alla Sanna Marin, l’estremismo anarcoide PolCor di ogni ordine e grado, da una parte; e le intemperanze di Lula, l’astuta impassibilità di Xi e Putin, i maneggi dei califfati, dall’altra parte? E poi: la perdita di centralità del dollaro, le asimmetrie economiche europee … quale insondabile filo di sutura possiamo notare qui? E perché il riequilibrio? Perché l’Occidente avrebbe rinunciato al proprio ruolo di leader col 90% del PIL in sua mano, come afferma, senza capire il retrogusto della storiella, Ettore Gotti Tedeschi? Perché l’africanizzazione, la cinesizzazione? Perché la denatalità da noi e non negli altri paesi? Perché il nostro suicidio, da ultimo, nonostante i motivi prima addotti? … perché … perché … perché … forse il riequilibrio, inteso come de-crescita, de-culturazione, de-industrializzazione occidentale, assieme alla sua smobilitazione concettuale e metafisica – lo spettacolare suicidio dell’Occidente, insomma, ridotto a ground zero spirituale, è necessario per attuare la Monarchia Universalis senza più apparenti e individuabili centri imperialisti? E per consentire, quindi, un definito e pieno dominio dei corpi e delle anime tutte, otto miliardi, irreversibile e globale, in un mondo finalmente livellato al grado zero? Il Totalitarismo Assoluto, privo di storia e radici, non poteva che nascere con l’olocausto europeo cui stiamo assistendo. Anzi, questa apocalisse, per inverarsi, non doveva simulare una guerra, uno scontro fra blocchi? Al fine di un’umanità sedata, finita, priva di moto e ambizioni, hackerabile, come peraltro sostiene Yuval Noah Harari, l’Uranista Ebreo del Jesus College di Oxford (il grottesco, come dissi …). Un’ammuina epocale per arrivare proprio al culmine dell’Utopia. Che l’Utopia illuminista passi per la propria negazione non deve fare scandalo … son passi verso l’Illuminazione finale, dal primo al trentatreesimo gradino …Ma dev’esserci una soluzione! C’è sempre una soluzione! E certo, chiedetela al professor Vacca, ancora fra noi. Il capitolo 18, quello finale, reca, infatti, l’ambizioso titolo: Progetto di comunità monastiche atte a conservare cultura e a favorire un nuovo Rinascimento. Per resistere al cataclisma occorrerebbe, secondo il Nostro, individuare alcuni monasteri di sapienti che conservino la conoscenza e il saper fare, cioè la tecnica sottesa a quella sapienza … in attesa dell’auspicata resurrezione dalla calcina dei crolli apocalittici … Non a caso lo stesso Vacca darà alle stampe, nel 1986, seppur con minor successo, Il Rinascimento prossimo venturo … Anche qui, però, siamo alle solite, come nella sedicente scienza illuminata: i falliti (è in liquidazione sulle bancarelle globali l’intero patrimonio occidentale) nominano il presidente del tribunale fallimentare che troverà rimedio al fallimento nominando gli stessi falliti quali curatori fallimentari. Di errore non si parla poiché l’errore, per i positivisti senza dubbi, è concime fertile per altri e più nuovi errori.