Riaprono le scuole e tornano i problemi di sempre: cattedre vuote, supplenti di passaggio, palestre inagibili, carta igienica che manca, calcinacci che crollano, muri sporchi, ecc.
Il degrado dell’edilizia scolastica è il marchio visibile del degrado morale di un paese che investe il 15% in meno della media delle grandi economie europee nell’istruzione. E che ha completamento obnubilato gli insegnamenti dei suoi maestri come Maria Montessori che voleva le scuole bellissime, in senso etico ed estetico, quale fondamento per un sano sviluppo delle nuove generazioni e quale segno di prestigio dell’istituzione.
Da almeno trent’anni, infatti, il tramonto dell’Occidente è ben visibile entro l’orizzonte della scuola italiana, nell’imbrunire della memoria storica, nel rabbuiamento del valore del sapere, nell’oscuramento della cultura umanistica, nello scempio che ne è stato fatto.
Scempio non certo dovuto a sciagurate politiche frutto di incompetenza ma a un progetto di distruzione programmatica che, una riforma alla volta, sotto qualsiasi partito politico, ha colpito sempre e solo in un’unica direzione: abolire l’educazione e fabbricare l’ignoranza. Oggi gli studenti italiani non possiedono più nemmeno il dominio della propria lingua-madre, non sono in grado di comprendere un testo semplice, detengono un vocabolario medio di 500 parole. Insomma, missione compiuta.
Si rientra in classe, dunque, ma si ritorna in un luogo che è diventato totalmente “altro”. Già, perché nel frattempo è stata introdotta l’ultima riforma imposta dall’Europa con il ricatto del Pnrr, Mario Draghi come sicario e masochisticamente inflitta dai dirigenti scolastici ai propri istituti nel giubilo della pioggia di soldi in arrivo.
Il “Piano scuola 4.0” – così denominato in omaggio alla quarta rivoluzione industriale ideata dal Wef – prevede la transizione digitale dell’intero sistema scolastico italiano. Non si tratta solo di modernizzarlo dotandolo di quegli strumenti – in effetti essenziali di fronte ai problemi reali della scuola – come lavagna interattiva o registro elettronico. La riforma fa ben altro: legittima la didattica on line. Ciò significa che studenti e docenti saranno inghiottiti nel Metaverso, orwellianamente ribattezzato Eduverso.
E così, dopo anni di assedio e di incessanti tentativi di digitalizzare l’istruzione, con il “cavallo di Troia” dei fondi europei, sono riusciti a oltrepassare le mura della scuola e aspettano il momento opportuno per uscire allo scoperto e dare fuoco all’educazione, incenerire il corpus del sapere, la tattiltà dei libri, la fisicità delle relazioni mandando in fumo secoli di pensiero critico e di scienza pedagogica.
La scuola si smaterializza nel digitale ed evapora nella nuvola del Cloud in un cielo privo di piogge per inaridire definitivamente il terreno della cultura (da “colere”, coltivare), il campo della formazione, la mente degli studenti. E impedire ai semi di germogliare. Mettere le mani sull’istruzione significa, infatti, mettere le mani sul futuro della società plasmando i cittadini di domani.
L’assedio è iniziato negli anni ’90 con le “Raccomandazioni della Commissione Europea” e il primo “Libro Bianco” del 1993 (“Crescita, competitività, occupazione”) in cui viene esplicitamente dichiarato che le scuole devono promuovere l’acquisizione di competenze digitali e di tecnologie informatiche per rispondere alle richieste dell’industria del terzo millennio. È proseguito con il Libro Bianco della UE del 1995 in cui si fa esplicito riferimento alle lobby di potere: “Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (…) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [lifelong learning] …[e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell’informazione è diventata una necessità”. È continuato con la nascita nel 2012 dell’”Agenzia per l’Italia digitale” e con il “Piano Nazionale Scuola Digitale” del 2015 (confluito, in parte, nella legge 107/2015) che preconizza una strategia complessiva di innovazione del sistema educativo italiano nell’era digitale. Si è fatto più stretto con le “Linee guida del Ministero dell’Istruzione” del 2020 in cui viene affermato “lo spostamento in modalità virtuale dell’ambiente di apprendimento e, per così dire, dell’ambiente giuridico in presenza” rendendo obbligatoria l’adozione della “Didattica Digitale Integrata” nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) di ogni istituto superiore da utilizzare in alternativa a quello tradizionalmente vissuto in presenza. Fino al varco finale con il “Piano scuola 4.0”, approvato nel 2022. (1)
Che la scuola fosse terreno privilegiato di conquista era già evidente dal fatto che, prima di andare via a settembre 2022, Draghi ha richiesto urgentemente di anticipare la scadenza della riforma scolastica prevista nel 2026: “lavorare sodo nei prossimi due mesi per raggiungere tutti gli obiettivi possibili”.
Per la riforma occorre cacciare gli studenti dalle classi e gettarli dentro le piattaforme virtuali. L’ambiente fisico, i muri dell’istituzione scolastica, sarebbero ormai obsoleti, vanno ristrutturati tramite le impalcature del digitale per impiantare nella rete neuronale dei giovani il virtuale come condizione di vita: una conversione dello spazio che mira, in realtà, alla conversione delle menti per riformattare il pensiero umano.
Siamo a una frontiera, ad un salto di paradigma. Dopo trent’anni di politiche neoliberali che hanno “aziendalizzato” l’istruzione, la scuola non è più solo il campo dove allevare una massa di analfabeti globali, ma il laboratorio in cui sperimentare la riprogrammazione antropologica delle nuove generazioni. La riforma taglia definitivamente le radici dell’umanesimo per spostare la scuola nell’universo siderale del transumanesimo.
D’altronde, la direzione a cui si puntava era già tracciata tre anni fa, con la bussola impostata sul Metaverso quando, durante la pandemia, si è inaugurata la didattica a distanza, il precedente di una scuola senza corpi come candidamente ammesso dallo stesso documento di presentazione della riforma. L’Unesco lo scrisse in maniera cristallina già nella primavera del 2020: si tratta del “più grande esperimento della storia dell’istruzione“. L’esperimento è perfettamente riuscito e ora si procede a normalizzare l’eccezione, come Overton insegna.
La cavia è, naturalmente, l’alunno, nel vero senso della parola. Il Piano scuola, infatti, fa esplicito riferimento a un documento che non solo non sostiene nessuna delle idee presentate ma, anzi, invita alla massima cautela poiché non ci sono sufficienti studi per confermare che digitalizzare l’istruzione significhi imparare meglio, anzi…(2)
Il Ministero dell’istruzione scrive: “Gli ambienti fisici di apprendimento non possono essere oggi progettati senza tener conto anche degli ambienti digitali (ambienti on line tramite piattaforme cloud di e-learning e ambienti immersivi in realtà virtuale) per configurare nuove dimensioni di apprendimento ibrido. L’utilizzo del metaverso in ambito educativo costituisce un recente campo di esplorazione, l’eduverso, che offre la possibilità di ottenere nuovi “spazi” di comunicazione sociale, maggiore libertà di creare e condividere, offerta di nuove esperienze didattiche immersive attraverso la virtualizzazione, creando un continuum educativo e scolastico fra lo spazio fisico e lo spazio virtuale per l’apprendimento, ovvero un ambiente di apprendimento onlife”.
Per “onlife” il Ministero intende la vita vera, così come l’abbiamo sempre conosciuta. Piccoli studenti transumani crescono fra “online” e “onlife”, nell’abominio di inquinare anche nei più giovani lo sviluppo del principio di realtà, abituandoli a pensare che il reale sia equivalente e interscambiabile con il virtuale.
Tutto il Piano scuola è presentato in un lungo documento dove abbondano le parole in libertà stampate alla Zecca di Stato della propaganda e ben congegnate per intrappolare nella dissonanza cognitiva. Dopo aver citato Maria Montessori e Loris Malaguzzi (pace all’anima loro!) per cercare, nello scempio in atto, una fantomatica continuità con una tradizione pedagogica di eccellenza quale era la nostra, il Ministero esordisce ribadendo l’importanza dello spazio nell’apprendimento. L’aula quadrata o rettangolare con la cattedra disposta di fronte ai banchi è un modello inadeguato per le esigenze didattiche di un mondo in rapida trasformazione. Servono “ambienti innovativi” che sono, appunto, ambienti digitali, ovvero, sono “non luoghi”, spazi completamente smaterializzati. L’esatto contrario delle teorie dei pedagogisti sopracitati che consideravano le aree esperienziali e relazionali fondamentali per un sano sviluppo psicofisico.
Un contorto giro di parole, di arbitri concettuali e di lampanti menzogne oscure per arrivare ad imporre la transumanza della popolazione scolastica nel Metaverso, attirata con il piffero magico della modernizzazione, dell’aggiornamento tecnologico, della banda larga. C’è quasi da rimpiangere il banco con le rotelle della Azzolina. In entrambi i casi, il concetto di fondo è spostare gli alunni di qua e di là, secondo un moto perpetuo finalizzato ad allontanarli definitivamente dall’epicentro della scuola, ossia l’educazione.
La scuola subisce, infatti, una dislocazione che ne muta profondamente l’essenza. Non più luogo di formazione dello spirito umano attraverso la parola, la dialettica, la relazione, ma sede di erogazione di nozioni impersonali somministrate per via immersiva e incantatoria. Aristotele, che fondò il primo liceo in Occidente dove insegnava camminando deve cadere. E con lui Pitagora e la scuola di Crotone, Copernico e l’Ateneo di Padova e tutte le nostre scuole e università, le più antiche del mondo.
È evidente che in una scuola dove si fa lezione nel Metaverso, i programmi tenderanno ad essere sempre più omologati e standardizzati, come, peraltro, già più volte annunciato dall’Onu. Non serviranno più milioni di insegnanti, ma basteranno poche piattaforme, una galleria di tutorial, un pugno di tecnici. Il ruolo del docente verrà progressivamente ridotto a quello di semplice aiutante fra uno studente e un’app fino a scomparire. Non è fantascienza, succede ora. Bill Gates lo ha promesso qualche mese fa: “entro due anni l’IA aiuterà i bambini a leggere e a scrivere”.
Il docente va rottamato, non solo perché è, ormai, superfluo ma soprattutto perché, in quanto “magister”, “il più grande” e quindi esempio da imitare, è pericoloso: rappresenta un vero e proprio virus informatico vivente capace di far saltare tutto il sistema della scuola digitalizzata. Nell’Eduverso non ci sono impronte da seguire, non c’è nessun maestro che con il suo “corpo” di esperienza, sapienza, pensiero critico, umanità possa fare da anticorpo e filtrare lo schianto dei più indifesi nel virtuale dove saranno allevati dall’intelligenza artificiale, ossia da una macchina che li trasformerà in macchine.
Da anni, la figura del professore italiano è il bersaglio di una programmatica svalutazione – e non solo perché ha lo stipendio più basso d’Europa e fra i peggiori nel mondo -, che ora, con il Piano scuola 4.0, diventa aperta umiliazione. In base alle competenze informatiche, infatti, il docente viene classificato “novizio, esploratore, sperimentatore, esperto, leader o pioniere”. Insomma, la scuola è diventata un video-game! Infatti, è in arrivo l’”animatore digitale”, una nuova figura da inserire al centro della comunità scolastica. Fine di ogni serietà, prestigio, autorevolezza. Non a caso, fu proprio Bill Gates il primo ad investire in Start up nate allo scopo di creare contenuti multimediali per rendere la scuola “divertente”. Siete contenti?
L’istituto Saint Luiss di Milano ha già iniziato ad organizzare gite scolastiche nel Metaverso derubando gli allievi della meraviglia di esperire l’originale. La Cappella Sistina diventa un fumetto, Giulio Cesare un avatar, la geografia un video-game, la storia una fiction con la regia di Mark Zuckerberg e dei padroni dei nuovi media. Da testa pensante lo studente diventa terminale di un flusso ininterrotto di informazioni e manipolazioni presentate come verità indubitabili e indiscutibili, le uniche che saranno conosciute dalle nuove generazioni.
Il medium è, infatti, il messaggio, come insegna Marshall McLuhan. Il sapere è sempre stato trasmesso per il tramite della parola, il famoso “lògos”, che dal greco si traduce anche con pensiero. Non esiste, infatti, migliore palestra per l’intelligenza del linguaggio, che è ciò che ci contraddistingue come esseri umani. Togliere il confronto dialettico significa sottrarre ai giovani gli strumenti critici interiori per sottoporre ad analisi la realtà lasciandoli completamente disarmati di fronte al mondo.
Scuola 4.0 significa perdere anche carta e penna a favore del tablet con la definitiva reductio ad digitum dell’essere umano. L’uomo pensa perché ha la mano: sono stati versati fiumi di inchiostro sulla connessione fra mano e cervello. A cominciare dall’antropologo André Leroy-Gouran che ha dimostrato che è grazie all’opponibilità di pollice e indice – tratto specie-specifico umano – che l’uomo ha potuto liberare la bocca dalla funzione prensile sviluppando il linguaggio, cioè il pensiero. Abolire una tappa fondamentale dello sviluppo psico-fisico dei bambini come la manualità fine dello scrivere non sarà senza conseguenze.
Dall’aula fisica alla piattaforma dell’Eduverso, dal libro all’ebook, dalla penna al tablet, dal maestro al tutorial, dalla relazione alla navigazione solitaria, dalla cancellazione dei corpi al grande reset dei cervelli, la riforma entra nel nostro ordinamento e si appresta a trasformare almeno 100.000 classi delle scuole primarie e secondarie in aule multimediali, chiamate “Next Generation Classrooms” in omaggio alla colonia che siamo.
La riforma prevede un secondo asse di sviluppo: le “Next Generation Labs”, cioè la creazione in tutte le scuole superiori di laboratori per le professioni del futuro attinenti all’intelligenza artificiale e alla robotica.
Non più luogo di formazione dello spirito attraverso la cultura, ma officina di avviamento al lavoro per operai specializzati e bacino di reclutamento per le multinazionali. Non si tratta più di istruire le menti ma di programmare manodopera 4.0 in linea con la mentalità utilitaristica di un mondo mercificato.
L’obiettivo è di far crescere il numero degli iscritti agli ITS del +100%, come indicato da “Futura”, il piano particolareggiato del Pnrr. Lo spostamento della scuola da una funzione educativa ad una formativo-tecnica comporta una trasformazione profonda del tipo di società che si va a costruire. Si punta, quindi, sull’Istituto Tecnico Superiore a scapito del liceo che continuerà ad essere progressivamente depotenziato, insieme alle materie umanistiche, quelle che, da sempre, formano lo spirito, nutrono l’intelligenza e aprono la mente.
Chi aveva ben intuito fin dal 1957 cosa sarebbe successo fu il filosofo Gunters Anders (marito di Hanna Arendt) che profetizzava: ′′si prosegue il condizionamento riducendo drasticamente l’istruzione, per riportarla ad una forma di inserimento professionale. Un individuo ignorante ha solo un orizzonte di pensiero limitato e più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni mediocri, meno può ribellarsi. Soprattutto niente filosofia. Faremo gli spiriti con ciò che è inutile e divertente”.
L ’Italia è il laboratorio d’eccellenza in cui si sta sperimentando la cancellazione delle Nazioni, laboratorio che è iniziato con gli attacchi alla nostra istruzione. La scuola è stata, infatti, fin dall’inizio, uno dei principali terreni di conquista subendo una vera e propria invasione barbarica dove tutto è stato pensato per offendere e sfregiare la nostra cultura. In ossequio alla nuova frontiera del capitalismo, che è l’on-line, il Piano Scuola 4.0 obbliga gli istituti scolastici a oltrepassare la linea del digitale, lasciandosi alle spalle le macerie di una civiltà millenaria.
Nella cosiddetta “modernizzazione” paesi come Giappone, Cina e India sono all’avanguardia, ma si guardano bene dal tagliare le radici con la propria tradizione. Il cinese classico, il giapponese medioevale, il sanscrito indiano vengono, infatti, studiati per tutto il ciclo scolastico, circa 12-13 anni.
Mentre la scuola si digitalizza, la maggioranza degli investimenti destinati alla ristrutturazione degli edifici, fatiscenti e decadenti, è ancora ferma, tanto che un preside ha dichiarato l’intenzione di proclamare i bagni della sua scuola “ambienti digitali innovativi”, pur di ottenerne la riqualificazione. C’è da piangere più che da ridere…
Tre anni di emergenza pandemica, bellica, energetica e climatica hanno dimostrato che l’unica cosa ad essere in serio pericolo è il pensiero critico, inteso come coscienza di sé, del mondo e dello stato delle cose. Un pericolo tanto più grave quando obnubila la coscienza di chi ha la responsabilità, altissima, di educare i giovani, avendo il dovere di approfondire ed esercitare il dubbio sulla complessità della realtà.
Nel riallineamento di tutti i poteri in corso – politico, economico, mediatico, medico, ecc. – quello del mondo dell’istruzione è il più grave in quanto dovrebbe essere la sede, per eccellenza, deputata alla confutazione e alla tutela dei minori.
Abbiamo urgentemente bisogno di insegnanti che smettano di ossequiare il Ministero dell’istruzione e tornino ad ascoltare Seneca, Dante, Leopardi. Abbiamo bisogno di maestri che non barattino la sicurezza del conformismo con il rischio del pensiero critico. Abbiamo bisogno di docenti che si riapproprino della scuola e rifiutino di trasformarla in un lager digitale disumanizzato. Abbiamo, soprattutto, bisogno di “maestri di vita”, di esempi di coraggio che non tradiscano la propria vocazione a quel compito immenso che è educare un altro essere umano.