“L’Unione Europea è incompiuta? Si! Colpa delle rivalità tra gli Stati!” questo il titolo di un articolo pubblicato su “Quotidiano Nazionale” in data 18 gennaio 2024 che riporta una intervista alla professoressa Chiara Favilli, docente di Diritto dell’Unione all’Università di Firenze. Un esempio di semplificazione di un tema complesso, non certo di aiuto per elettori prossimamente impegnati nella tornata delle elezioni europee.
Il prossimo mese di giugno vedrà gli Italiani impegnati nell’ennesima tornata elettorale su diversi fronti. Tra questi ci sarà l’elezione del Parlamento Europeo. Entità semi sconosciuta ai cittadini, ma sulla quale già si affannano i partiti per prenotare poltrone e poltroncine.
Ne consegue l’inizio delle celebrazioni per raccontarci quanto è bella e buona questa Unione Europea, quanto è “utile” ai popoli, e come non potremmo vivere senza. Se non funziona la colpa è degli Stati, che sono soggetti egoisti, e che pretendono ancora di comandare facendo valere quel sentimento “anacronistico”, per alcuni, della sovranità.
L’articolo in questione [1], è interessante da esaminare, nella sua brevità, per come semplifica il tema, al punto che par di leggere un “temino” delle scuole medie, già dalle domande poste dall’intervistatore. Riassumendo alcuni punti salienti:
D: Come presentare l’UE a una adolescente?
R: Una realtà voluta dagli Stati, dopo la II guerra mondiale per garantire maggior benessere alla gente grazie alla libera circolazione delle persone, delle merci, e alla fluidità dei mercati
D: Ma gli Stati continuano a fare la loro politica
R: Questo è il problema che impedisce di fare una unione completa e definitiva
D: Avremo mai gli Stati Uniti d’Europa?
R: Quello era il sogno, ma i governi nazionali non hanno mai precisato il destino finale della UE
D: Ma abbiamo la moneta unica
R: È una cosa buona ma non abbiamo l’unificazione fiscale che resta lontana
In queste prime domande possiamo individuare delle semplificazioni piuttosto “pericolose”:
1. Il desiderio di “Pace” europea scaturisce all’indomani della fine della I Guerra Mondiale: conflitto di proporzioni mai viste, e subite, in precedenza. Dopo il 1918 furono gettate le basi per un rapporto diverso tra le nazioni europee per evitare altri conflitti che, lo sviluppo dell’industria e della tecnologia, rendeva devastanti. Gli Stati si resero conto che dal principio di “nazionalità”, si era scivolati nel becero “nazionalismo”, e la necessità di “espansione” del proprio “spazio vitale”, necessaria per estendere i mercati su cui piazzare le merci prodotte, e per garantire la propria sicurezza, aveva condotto ai conflitti del ‘15 -’18.
2. Da una parte gli Stati Uniti, con i 14 punti del presidente Wilson, dall’altra le distrutte nazioni europee, caldeggiavano l’idea di promuovere la Società delle Nazioni, per una gestione dei conflitti internazionali, e una unità europea per evitare conflitti locali. Francia e Inghilterra (tra le vincitrici) giocavano un ruolo preponderante. L’idea di “unione” nasce in questo periodo, ma già si delineavano due concezioni differenti: una di tipo “federale” (come gli Stati Uniti), nella quale le nazioni cedevano buona parte della sovranità a un governo unico centrale; l’altra quella “confederale”, nella quale i rapporti rimanevano interstatali e ciascuna nazione manteneva la propria sovranità. Questa seconda soluzione era maggiormente gradita da quei paesi, come Francia e Inghilterra che possedendo colonie, e temevano l’unione potesse compromettere i loro mercati.
Gli USA ebbero da subito un rapporto ambivalente: una Europa unita, con democrazie di stampo liberale e democratico, avrebbe favorito il libero mercato e costituito un argine verso il crescente comunismo russo; ma una Europa unita avrebbe potuto costituire un concorrente temibile sui mercati internazionali.
3. La sovranità degli Stati, come causa dei conflitti, fu oggetto di diverse posizioni politiche e diversi studi; tra questi gli interventi di Luigi Einaudi, Giovanni Agnelli, e Attilio Cabiati, per fare un esempio [2]. Troppo trascurata invece, l’analisi di J.M. Keynes [3] che illustrava, dati alla mano, e per esperienza diretta – avendo partecipato alle trattative di pace di Versailles -, come queste furono condotte, soprattutto da parte della Francia, più con spirito di “vendetta”, nei confronti della Germania, piuttosto che limitarsi a un ragionevole rimborso dei danni provocati dalla guerra da lei provocata.
4. L’inascoltata analisi keynesiana provocò quanto da lui previsto: la distruzione economica e sociale della Germania la quale finì per precipitare in breve nell’abisso nazista. Dopo la II Guerra Mondiale, con la nascita dell’ONU, fu ripreso il tema dell’unione europea, ma i problemi citati (qui semplificati per ragioni di spazio) rimasero insoluti. Fu scelta l’impostazione “funzionalista” secondo la quale l’Europa unita sarebbe stata costruita per passaggi successivi (in realtà imposti alle popolazioni); creando comitati di lavoro su temi specifici, ed elaborando successivamente accordi tra gli Stati formalizzati attraverso i numerosi Trattati susseguitisi nel tempo.
L’articolo si chiude ribadendo la responsabilità degli Stati nel pretendere soluzioni dall’Europa, ma mantenendo il proprio potere. L’ultima domanda (che cosa possono fare i cittadini?) ha una risposta elementare che farebbe quasi sorridere: ai cittadini spetterebbe di “capire” qual’è il soggetto responsabile di questa situazione, e scegliere, attraverso le urne, quale dovrebbe essere il “destino” di questa Europa.
Sono certo che alla professoressa queste questioni siano presenti. Quello che è fuorviante (spero di aver dimostrato con questa piccola disamina) è il processo di semplificazione “giornalistico” a fronte di un problema estremamente articolato (sotto il profilo storico, economico, sociologico) che pretenderebbe di chiarire il da farsi a un comune cittadino.
Il popolo intrappolato tra una struttura economico finanziaria neoliberista, una moneta unica che ha privato i Paesi dei margini di manovra di politica economica (con la perdita della sovranità monetaria), disposizioni legislative imposte che ubbidiscono, troppo sovente, agli interessi delle multinazionali, dovrebbe – seguendo questo ragionamento -, essere in condizione di scegliere il futuro dell’Europa e determinare le responsabilità di chi rema contro.
In un contesto politico, come quello italiano, nel quale le differenze di progettualità politica sono assenti, o talmente risicate da non giustificare nemmeno il processo democratico, la maggioranza delle persone non riesce più a comprendere il senso della parola “futuro”, vivendo in una condizione di precarietà costante. I responsabili? Sono proprio quelle burocrazie di fede neoliberista (non votate da nessuno), europeista, che hanno perso di vista il significato di parole come democrazia, libertà, unione, pace tra i popoli, e perseguono gli interessi dei grandi Capitali attraverso le Lobby di influenza (esercitate proprio sul Parlamento Europeo). Una realtà diversa e ben lontana dal nobile progetto di Unità Europea di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi [4].
Di Davide Amerio per Comedonchisciotte.org
Davide Amerio, analista di sistemi informatici, consulente aziendale, scrittore, blogger freelance (Tgvallesusa.it), studioso di Scienze Politiche, iscritto alla Facoltà di Scienze Internazionali dello Sviluppo e della Cooperazione di UniTo. Ha pubblicato “Saggista per Caso” (raccolta di articoli 2013-2021), e il volume di racconti “Storie di ordinaria umanità – Vol I”.